I Balderacchi, una famiglia italo-franco-argentina
L’Argentina, un paese lontano dall’Europa 13 mila kilometri. Un paese di emigrati, “fatto” da tutti gli emigranti venuti, in particolare, dalla Spagna e dall’Italia: un mito per tutti quelli che avevano voglia di tentare una vita diversa, o sentivano il bisogno di lasciare una patria che non poteva garantire un’esistenza decente.
Fu così che un mio prozio, Pietro Ziliani, nato nel 1900 a Piacenza, fratello di mio nonno materno Artemio, se ne andò in Argentina con la nave “Principe d’Udine”, di 7828 tonnellate. Il “vapore”, com’era chiamato allora, partì da Genova l’11 novembre 1922 con il mio prozio in terza classe che aveva pagato per il biglietto duemila lire.
La nave si fermò a Rio de Janeiro, Santos, Montevideo. Sappiamo che il viaggio è durato 21 giorni, ma non conosciamo i dettagli esatti, né cosa Pietro si aspettava di trovare lì, e come affrontò la malinconia di lasciare la sua terra e la famiglia.
Il prozio conobbe poi quella che sarebbe diventata sua moglie, Luisa Maestri, di genitori italiani ma nata in Argentina, dalla quale ebbe sei figli: Aldo, Nieves, Avelino, Marta, Blanca, Maria Isabel. Per i tempi, era una piccola famiglia. Lo zio lavorava come contadino. I momenti difficili ci sono stati, e non pochi, ma Pietro e Luisa riuscirono comunque a fare crescere bene la loro famiglia. Negli anni ‘40, però, il prozio scrisse alla famiglia rimasta a Piacenza per chiedere aiuto e sondare la possibilità di tornare in Italia perché la situazione economica in Argentina era diventata molto difficile. La risposta, data sicuramente con dispiacere, fu che non era il momento giusto per tornare, visto che l’Italia era entrata in guerra. Pietro Ziliani non tornò più e morì nel 1965 in Argentina.
Una parte della mia famiglia ha incontrato per la prima volta i discendenti del prozio di Piacenza undici anni fa. Io, Laure-Anne, e mia mamma, Josiane Ziliani Balderacchi, il 22 febbraio scorso. Non si può spiegare l’intensa emozione per noi – il lato francese della famiglia, emigrato a Nogent-sur-Marne, periferia di Parigi - di conoscere per la prima volta i nostri primi cugini. Soprattutto per la mia mamma, a 60 anni, è stata una sensazione indescrivibile. E’ bastato uno sguardo, solo uno, per capire che siamo della stessa famiglia: la stessa pelle, gli occhi di una cugina argentina uguali a quelli di una cugina di Piacenza, il legame che non ha frontiere. A parlare, più che l’italiano, lo spagnolo o il francese, è stata la lingua del cuore. Questa valanga d’amore è stata bellissima.
Ci siamo ritrovati in 26 come se fosse sempre così, la domenica; come se fosse abituale: con i bambini che mangiano insieme sul loro tavolino, le donne che si alzano per cucinare e servire la carne che si condivide, il vino che riscalda, la gente che si prende spontaneamente nelle braccia e si abbraccia. Sei primi cugini, 16 figli, mariti e mogli, 11 nipotini e due che devono nascere nel 2009.
Quando abbiamo parlato dell’Italia (mia mamma da Parigi torna spesso, abbiamo una casa sull’Appennino piacentino e io sto frequentando un master a Parma), abbiamo visto una luce nei lori occhi. Una luce per questo paese che non conoscono, di cui non parlano la lingua, ma che considerano un eldorado. C’è una voglia profonda di andare a scoprirlo, pur sapendo che i mezzi economici non lo consentiranno. E quale emozione, vedere insieme a loro, custodite religiosamente in un album, le poche foto spedite dall’Italia di questa famiglia italiana: i miei bisnonni, i nonni, certi fratelli e sorelle del prozio, vecchi cliché in bianco-nero che ci fanno piangere, pensando a questo legame forte non spezzato dall’oceano. Intanto la vita, con i suoi strani andamenti continua… C’è Cecilia, terza generazione, che qualche anno fa, ad appena 20 anni, in piena crisi economica in Argentina, si è decisa a trasferirsi in Italia, compiendo in direzione opposta il cammino del nonno di 80 anni prima. E’ stata accolta come una figlia da alcuni cugini piacentini. Arrivata con il marito, ha avuto una bambina, Agustina. Suo fratello Agustino e, poi, sua mamma Marta, l’hanno raggiunta. Hanno avuto problemi nell’imparare la lingua e trovare un lavoro, e perciò si sono trasferiti in Spagna, a Barcellona. Ora che siamo tutti tornati ai nostri impegni, a Parigi o a Parma, grazie ai mezzi di comunicazione moderni riusciamo a restare in contatto via mail con i cugini d’oltreoceano.