Anacleto Angelini, l'enigmatico tycoon

Ferarrese emigrato in Cile nel 1948, è stato a capo di un impero finanziario che andava dalla cellulosa al petrolio e alla pesca. Per la rivista “Forbes" era uno degli uomini più ricchi del Sudamerica, con un patrimonio stimato in 1.100 milioni di dollari.

Anacleto Angelini è stato a lungo l’uomo più ricco del Cile e uno tra i più ricchi dell´America Latina. Insignito del Premio Città di Ferrara 2003, Angelini è morto nel 2007 a 93 anni.

Nato a Ferrara nel 1914, emigrò in Cile nel 1948 con un modesto prestito come unica risorsa. E’ stato il classico self-made-man che ha accumulato nella sua lunga vita un patrimonio personale valutato dalla rivista americana Forbes in 1.100 milioni di dollari.

Nel 2003 la cerimonia per l'attribuzione del riconoscimento fu contestata dal Forum per la Pace di Ferrara, secondo il quale "don Cleto", com’era chiamato in Cile, avrebbe acquistato grazie alle privatizzazioni volute da Pinochet terreni appartenenti agli indios Mapuche. I quali videro insidiata la loro identità culturale e denunciarono lo sfruttamento intensivo delle foreste, con il relativo deterioramento del terreno, come causa della loro povertà.
Ma chi era in realtà Anacleto Angelini? Figlio e nipote di imprenditori e commercianti di granaglie di Ferrara, a 22 anni cercò di sbarcare il lunario dandosi al commercio e, nello stesso tempo, studiando ingegneria. La prima meta fu nel 1936 l’Abissinia (oggi Etiopia), appena conquistata dal regime fascista. Lì passò il periodo della seconda guerra mondiale: quando tornò, l’Italia era un cumulo di rovine. Un amico gli parlò del Cile e così nel 1948 partì per Santiago. Una scelta diversa, allora, perché la maggior parte degli emigranti italiani che si recavano in America Latina puntavano su Argentina, Brasile e Venezuela.
Nella capitale cilena strinse amicizia con un altro italiano, Antonio Franchini. Mettendo insieme i loro gruzzoli, rilevarono Tajamar, una fabbrica di vernici in bancarotta. Iniziò in quel momento la scalata al successo economico del ferrarese: ancor oggi, in Cile, Tajamar vuol dire vernici. Dalle vernici, e sempre con Franchini, passò all´edilizia. Poi, da solo, puntò sui settori dello sfruttamento delle foreste, delle serrature e dell’agro-industriale. Nel 1956 trovò il primo filone d'oro: con imprenditori cileni rilevò l'Eperva, una fabbrica di farina di pesce. Un nuovo grande successo economico: non per nulla l'Eperva era la sua impresa prediletta, sede dei suoi uffici. Sull'onda di quel successo, nella metà degli Anni Settanta Don Cleto sbarcò nel colosso petrolifero Copec che, azione dopo azione, tassello dopo tassello, arrivò a controllare al 60 per cento, aprendo o rilevando imprese nei più svariati settori: foreste, industria ittica, finanza, cantieri navali, industria metalmeccanica, elettricità, servizi e miniere (oro e carbone). La Copec valeva 8.940 miliardi di vecchie lire, anche se poi costò ad Angelini la temporanea estromissione dalla classifica annuale di Forbes degli uomini più ricchi del mondo, a causa del forte impegno finanziario assunto per ottenere il controllo totale della holding, essendo la Copec la cassaforte che conservava le chiavi del suo impero.

Il miliardario che non ha mai parlato con la stampa
Angelini era descritto dalla rivista cilena "Poder" come un imprenditore "enigmatico", abituato a tenere un "basso profilo" e che in vita sua "non ha mai parlato con la stampa". Anti-presenzialista per eccellenza, non si è presentato nemmeno a ritirare a Roma il premio per gli "Italiani nel Mondo" assegnatogli da una prestigiosa giuria e consegnato dall'attrice Claudia Cardinale, al grido di "Ecco l’imperatore del Cile!", al nipote Roberto, il suo erede, non avendo "zio Cleto" alcun figlio.
E’ sempre "Poder" a spiegarci che l’ultima volta che fu visto in pubblico era il 31 luglio 2001, quando al Teatro Municipale di Santiago la Copec, la sua compagnia petrolifera, si aggiudicò il prestigioso premio Icaro come "impresa dell’anno". Naturalmente Don Cleto non salì sul palcoscenico ma vi mandò il solito nipote Roberto, presidente della compagnia. Lui si limitò ad applaudire dal palco insieme a sua moglie, Maria Noseda Zambra, una cilena figlia di italiani. Appena conclusa la cerimonia, per sfuggire al programmato cocktail se ne andò dalla porta principale, senza guardie del corpo né chauffeur. Con la moglie, sotto una pioggia torrenziale, chiamò un taxi e vi si è infilò dentro con il suo impermeabile color caffè. I fotografi lo aspettavano fuori, e quella è stata per loro una delle rare occasioni per aggiornare lo scarno archivio fotografico su "l’imperatore del Cile".
C’è chi sostiene che sia stato proprio il basso profilo tenuto a permettere all’imprenditore di condurre una vita normale, senza la paura di essere assalito o sequestrato. Per molto tempo ha così potuto passeggiare tranquillamente nelle strade del centro di Santiago, dove fino al 2000 si trovavano i suoi uffici, e quasi ogni giorno recarsi al Caffè Paula, uno dei più antichi della capitale, dove si sedeva al banco per consumare un sandwich. Qui all’ora di pranzo incontrava i suoi impiegati, che salutava uno ad uno con deferenza. Le poche volte che andava al ristorante, sceglieva immancabilmente "Le Due Torri", il più prestigioso ristorante italiano di Santiago, gestito – come dice il nome – da una famiglia di origine bolognese. Il ristorante esiste da ormai trent’anni, alle pareti ha fotografie in bianco e nero di monumenti italiani e gli stemmi di alcune città della Penisola. Il menu comprende oltre quaranta antipasti e, oltre al pesce, offre un’ampia gamma di piatti bolognesi.
Anche la sua residenza principale non era all’altezza del suo prestigio e delle sue ricchezze: viveva in un appartamento a Las Condes, un quartiere di Santiago abitato dalla classe media (i ricchi stanno a La Dehesa, Los Curros o Los Dominicos). L’attrattiva principale della sua casa erala grande terrazza, ma la vista, pur bella, non coglieva il filo della cordigliera delle Ande, nascosta da altri edifici. Angelini ha preferito curare le altre sue case, quella nell’esclusivo scenario de Las Rocas de Santo Domingo, e l’altra villa in Italia, sul lago di Como. In Italia l’ottuagenario magnate veniva ormai raramente, ma fino a una decina d’anni dalla morte vi passava le vacanze quasi ogni anno, con puntate anche a Ferrara per trovare i parenti.
Angelini ha sempre voluto mantenere la cittadinanza italiana e, più di ogni altro plurimiliardario, ha contribuito alla Fundacion Juan Pablo II della Chiesa cilena e alla Fundacion Andes, specializzata nel concedere borse di studio a favore dei giovani cileni più bisognosi. Angelini - ha detto l’ex presidente socialista del Cile, Lagos - è stato una figura fondamentale nella modernizzazione del Cile, uno di quelli che ha tracciato la nuova rotta.