Introduzione, di Roberto Farné
Immagino Alberto Manzi...
Immagino Alberto Manzi con la sua classe di bambini in cerchio, fogli e matite a disposizione, come era solito fare quando iniziava una di quei dialoghi maieutici che potevano andare avanti a tempo indeterminato. Lui poneva una domanda e invitava i bambini a rispondere, uno dopo l’altro senza un ordine prestabilito, ognuno doveva intervenire con la sua ipotesi, o correggendo quella di un compagno e quando si arrivava ad una risposta che poteva essere condivisa ecco che Manzi rimetteva in gioco tutto con una nuova domanda che li spiazzava obbligandoli a guardare la cosa da un altro punto di vista, insinuando un dubbio... Così le “verità” avevano sempre la v minuscola. “Perché un uccello vola?”; “perché una certa cosa galleggia e un’altra no…?”. Anche una domanda come “Secondo voi il grano è un’invenzione dell’uomo o è sempre esistito così?” che anima parte di questa mostra penso sia stata una domanda con cui Manzi ha animato didatticamente i pensieri dei suoi alunni.
Educare a pensare, non a imparare pensieri già fatti da altri; questo era il principio pedagogico che stava alla base del suo metodo, sempre proteso a rendere i bambini attivi sviluppando quella “tensione cognitiva”, così Manzi la chiamava, alla base della naturale curiosità infantile, che parte dalle cose concrete. Il bambino cerca, prova, trova; pensa e il suo pensiero diventa azione e linguaggio, e così si forma un concetto e come “da cosa nasce cosa”, da pensiero nasce pensiero.
Non è un caso che il cibo sia stato per Alberto Manzi un formidabile centro di interesse didattico. Esso incrocia i più diversi saperi ed è al centro dell’esperienza quotidiana dei bambini: una sorta di punto di partenza e di arrivo per una educazione che si configura come una circolarità a spirale. E poiché per Manzi imparare significava anche, sempre, dare senso a ciò che si imparava, il cibo non era solo geografia e storia, chimica e biologia, ma l’evidenziatore di un mondo dove l’umanità è divisa far chi ha il cibo e il potere su di esso e chi soffre la fame.
I bambini di Alberto Manzi imparavano che l’uomo è ciò che mangia, ma nel senso che se l’uomo non ha di che mangiare allora la sua umanità non è.