L'esperienza del CIAC per l'accoglienza e l'aiuto ai rifugiati
14.03.2013
“fuori di qua il mondo non vi crederà. Forse ci saranno sospetti, discussioni, ricerche di storici, ma non ci saranno certezze. Perché noi distruggeremo le prove. E quando anche qualche prova dovesse rimanere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti. Dirà che sono esagerazioni e crederà a noi che negheremo tutto, e non a voi.”
Simon Wiesenthal
“quasi tutti i reduci, a voce o nelle loro memorie scritte ricordano un sogno ricorrente, vario nei particolari ma unico nella sostanza: di essere a casa, di raccontare con passione e sollievo le loro sofferenze passate a una persona cara, e di non essere creduti, anzi neppure ascoltati. Nella forma più tipica (e crudele), l’interlocutore si alzava e se ne andava in silenzio”
Primo Levi
È in questo angusto spazio dove la minaccia del torturatore e l’incubo del torturato rischiano pericolosamente di convergere, avverandosi reciprocamente, che si situa il lavoro di CIAC - Centro Immigrazione Asilo Cooperazione – di Parma. Un lavoro fondativo per un Paese come l’Italia, che ha una storia di “asilo” molto recente e che non offre ancora servizi in grado di dare sostanza e contenuto certo a quanto le leggi prevedono.
Come per i richiedenti asilo e i rifugiati, per i quali la Direttiva 2011/95/UE nel dicembre 2011 ha previsto che: “Gli Stati membri forniscono adeguata assistenza sanitaria, […] secondo le stesse modalità previste per i cittadini dello Stato membro che ha concesso tali status, ai beneficiari di protezione che presentano particolari esigenze, quali le donne in stato di gravidanza, i disabili, le vittime di torture […]” ma che, nei fatti, non offre in modo sistematico e certo la possibilità di emersione.
Spesso infatti la vittima di tortura non denuncia la sua situazione, né i “segni” sono facilmente riconoscibili. Difficile diventa quindi anche la presa in carico e, nei limiti del possibile per un trauma i cui effetti riguarderanno l’intera vita della vittima, la possibilità di cura e riabilitazione.
La tortura non è un retaggio di periodo bui e lontani, né è praticata soltanto nei regimi dittatoriali. Ci è molto più vicina di quanto si possa immaginare e ci riguarda direttamente: tante sono le vittime di tortura presenti tra i richiedenti asilo che ogni giorno bussano alle frontiere dei nostri stati. Spesso senza trovare la protezione e l'accoglienza che spetta loro di diritto.
Le persone che migrano, costrette ad abbandonare quelle regioni e quei luoghi dove la guerra e la violenza sono esperienza quotidiana, portano con sé, su di sé, nella propria memoria e sul proprio corpo, questa brutale eredità. E questa eredità, sia fisica che psicologica, non cessa i suoi drammatici esiti con lo spostamento fisico dei corpi che ne sono stati vittima. La difficoltà ad elaborare le menomazioni subite, a ricostruire il senso e la percezione di sé e dell'altro dopo l'esperienza del trauma sono solo alcuni esempi delle molte dimensioni fisiche, sociali e psicologiche compromesse dalla tortura.
Il punto di partenza del lavoro del Centro è proprio il tentativo di comprendere il trauma da tortura e violenza estrema: analizzare come agisce la tortura su chi ne è stato vittima è stato un primo e fondamentale passo per capire i bisogni e le possibili risposte, individuare i meccanismi messi in essere dal torturatore per contrapporvi misure corrispondenti di segno contrario.
E’ a partire da queste premesse che il 1 settembre 2009 è divenuto operativo il Protocollo di intesa siglato tra Ciac Onlus (ente di tutela per richiedenti asilo e rifugiati) e Azienda Usl di Parma “Per la definizione delle modalità operative del coordinamento socio-sanitario e per l’individuazione delle vittime di tortura e violenza in carico” (ora C.I.S.S- coordinamento interdisciplinare socio-sanitario Ciac-Ausl). Uno strumento per garantire alla popolazione rifugiata servizi di accoglienza, tutela, emersione e diagnosi, cura e inserimento sociale in funzione delle specifiche esigenze di cui sono portatori attraverso un approccio che sappia integrare, e non disgiungere, dimensione sociale, sanitaria e giuridica. Perchè queste dimensioni non possono essere considerati “separatamente”, in quanto di pertinenza di enti diversi, né tanto meno “una alla volta”.
Solo rispettando la dignità delle persone, da vittime potranno essere testimoni.