Editoriale n.6 - Salute e nuovi protagonismi

albero della vitaSalute e nuovi protagonismi. Quattro associazioni del territorio raccontano la loro esperienza

La salute con gli occhi di chi - pur vivendo situazioni di disagio sociale o personale e di fragilità - riesce a fare comunità. Ne parlano in questo numero, l’Unione Italiana dei ciechi e degli ipovedenti – Sezione provinciale di Rimini, il CIAC - Centro Immigrazione Asilo Cooperazione – di Parma, l’Associazione Arca di Noè di Bologna e la cooperativa sociale La Rupe di Sasso Marconi.

Il commento di Vincenza Pellegrino, sociologa dell'Università di Parma

Le realtà associative presentate in questa Newsletter sono molto differenti tra loro ed è difficile, a prima vista, identificare il filo rosso che le unisce. Alcune lavorano sull’animazione giovanile in contesti di disagio e conflitto, altre di disabilità fisica e mentale, altre ancora di rifugiati e richiedenti asilo. Effettivamente, non è il tipo di problema di cui si occupano a rendere simili queste iniziative, quanto piuttosto il modo in cui se ne occupano. In questi progetti, infatti, viene messa particolare attenzione alla presa di parola e all’auto-determinazione di coloro che si trovano in condizioni di fragilità: non più, soltanto, l'aspetto del "dare" ma il “prendere” dalla vulnerabilità psico-fisica e sociale ciò che essa ha da insegnare, accettarne lo sguardo critico sul mondo e il suo ordine quotidiano (ciò che provano e imparano un ipovedente e un richiedente asilo, ad esempio, sul mondo dei “cittadini normali”). E ripensarlo.

Le relazioni di aiuto - che siano di volontariato o istituzionali - vengono qui intese come relazioni di reciprocità: costruire insieme una visione critica sulla fragilità, definirla come questione socialmente costruita (la “dis-abilità” non è mai di per se stessa, ma sempre rispetto ad una “normalità” assunta come aspettativa), e costruire insieme una risposta che aiuti (anche) il contesto circostante, che lo migliori.

In tal senso dobbiamo intendere i progetti dell’associazione CIAC sui richiedenti asilo, incentrati sulla loro “messa in visibilità”, sul coinvolgimento diretto di questi ultimi, sul loro orientamento attraverso il territorio; il progetto del centro accoglienza La Rupe, che inserisce i suoi giovani all’interno di processi partecipativi aperti alla cittadinanza su temi difficili come quelli del “consumo critico”, per sviluppare risposte condivise, a partire dal desiderio, dal linguaggio, dall’immaginario giovanile; il progetto Villa Giulia, sperimentazione per l’autogestione professionale (e non solo) di persone con disabilità significativa; l’Unione Chiechi e Ipovedenti, che lavora sulle capacità sensoriali alternative alla vista per promuovere l’idea di un potenziale solitamente inesplorato d’intelligenza e sensorialità umana, ecc.

In questi percorsi, l’accento è “sull’empowerment”[1] di coloro che solitamente vengono percepiti come “consumatori di sostegno” e che qui vengono intesi invece come protagonisti: ciò che si cerca di sostenere è un’attivazione in prima persona rispetto alla propria fragilità o sofferenza, ma ancora oltre, è la presa di parola rivolta agli altri, perché sia da stimolo per altre confessioni di fatica, perché sia occasione di un ripensamento collettivo e un cambiamento del contesto circostante.


[1] Per una riflessione più approfondita sulle forme di lavoro sociale basate sull’empowerment non soltanto inteso in senso “individuale” (maggiore autodeterminazione di coloro che formulano la richiesta di aiuto) ma sopratutto di “comunità” (coinvolgimento crescente del contesto e allargamento dei processi di mutuo-aiuto) rimando a “L’empowerment nei servizi sociali e sanitari. Tra istanze individuali e necessità collettive” (a cura di) M.A. Nicoli e V. Pellegrino, Il Pensiero Scientifico 2011, Roma.

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