Le popolazioni dei territori occupati

Lituania e Lettonia: dall’occupazione sovietica a quella tedesca
Lituania, fine giugno 1941. Reparti tedeschi entrano a Kaunas, accolti con entusiasmo dalla popolazione lituana.Nell’estate del 1940, Lituania, Lettonia ed Estonia vennero a tutti gli effetti annessi all’Unione Sovietica. La politica repressiva stalinista si era già fatta sentire fin dal 1939. Bersaglio della sua violenza erano stati i dirigenti e gli attivisti di tutti i partiti diversi da quello comunista.  Nel 1940, allorché gli stati baltici furono forzatamente trasformati in paesi ad economia socialista, le vittime della repressione furono i borghesi e gli altri nemici di classe. Secondo Marta Craveri, <<si calcola che tra il 1940 e il 1953 furono 203 590 le persone deportate dai paesi baltici (118 599 lituani, 52 541 lettoni e 32 540 estoni), mentre circa altrettante vennero condannate ai lavori forzati>>. Le retate più consistenti si ebbero nella notte fra il 13 e il 14 giugno 1941, allorché furono deportati 15 500 Lettoni (fra cui 2400 bambini di età inferiore ai dieci anni) e tra il 14 e il 18 giugno del medesimo anno: giornate che videro la deportazione di 45 000 cittadini lituani.

Anche gli ebrei furono colpiti dalla violenza stalinista, preoccupata di eliminare dapprima ogni opposizione politica (prima fase) e poi gli avversari di classe (seconda fase). Tra i 45 000 deportati lituani appena menzionati, circa 6000 erano ebrei. Tuttavia, la posizione degli israeliti dei paesi baltici (come, peraltro, dei territori polacchi a est del fiume Bug, occupati dai sovietici nel 1939) era affatto particolare. Essi vivevano in modo decisamente meno intenso il sentimento nazionale che, invece, animava il cuore dei loro concittadini polacchi, lituani, lettoni ed estoni; per loro, l’occupazione sovietica poteva avere risvolti duri e spiacevoli, ma non era una catastrofe nazionale.
L’eccidio di Jedwabne

Nel 1939-1940, il regime sovietico aprì agli ebrei dei territori appena occupati le porte delle università e offrì loro, spesso, dei posti di prestigio e di responsabilità, nella speranza di avere dei collaboratori più fidati, rispetto ai nazionalisti locali. Questi cominciarono subito ad accusare gli ebrei di essere dei traditori, rispolverando la vecchia equazione tra ebrei e comunismo. In Polonia, questa accusa tipicamente moderna si innestò sulla tradizionale calunnia, di origine medievale, secondo cui gli ebrei erano nemici giurati dei cristiani, e quindi ogni anno uccidevano un bambino, per usarne il sangue durante i riti pasquali.

Questa miscela di odio esplose clamorosamente nel piccolo centro di Jedwabne, una cittadina situata nella porzione di Polonia che, nell’autunno del 1939, venne occupata dall’Armata Rossa. Allorché due anni dopo, nell’estate del 1941, arrivarono i nazisti, il 10 luglio vennero uccisi 1600 ebrei. Essi però non furono assassinati dagli Einsatzgruppen, bensì dai contadini polacchi: più precisamente, da coloro che fino a quel momento avevano vissuto insieme ad essi, nel medesimo villaggio. Si trattò di un terribile pogrom, consumato senz’armi, a furia di botte, di bastonate, di colpi di forcone, e conclusosi infine con un gigantesco rogo. In questo caso (e in altre circostanze, verificatesi nei Paesi Baltici o in Ucraina), l’intervento tedesco fu l’occasione per dare sfogo ad un odio antiebraico secolare, che covava da tempo e si alimentava non delle moderne teorie razziali, ma di antichi pregiudizi religiosi e, a volte, di rivalità commerciali ed economiche.

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