L'atisemitismo ucraino, in una testimonianza letteraria

A distanza di tempo, riflettendo in modo più lucido sulla guerra, Grossmann mise in luce che l’antisemitismo era assai diffuso sia fra gli ucraini (molti dei quali si mostrarono disposti a collaborare coi nazisti) sia fra gli stessi soldati sovietici. Riportiamo un passo della lettera che la madre del protagonista di Vita e destino (completato nel 1960) scrive da un ghetto dell’Ucraina, prima di essere fucilata.

Quella stessa mattina mi venne ricordata una cosa che avevo dimenticato durante gli anni del potere sovietico, che sono ebrea. I tedeschi attraversavano la città sui camion e urlavano: <<Juden Kaputt!>>.

Nel frattempo me l’avevano ricordato i vicini. La moglie del portinaio era in piedi sotto la finestra e diceva a una vicina: <<Grazie a Dio è la fine per i giudei>>. Ma perché? Suo figlio ha sposato un’ebrea; la vecchia andava a trovare il figlio, mi raccontava dei nipoti.

La mia vicina, una vedova con una bambina di sei anni, Alenuska, dagli occhi azzurri meravigliosi (una volta ti ho scritto di lei) venne da me e disse: <<Anna Semenovna, la prego per questa sera di raccogliere le sue cose; io mi trasferisco nella sua camera>>. <<Va bene, allora io mi trasferisco nella sua>>. <<No, lei si trasferirà nello stanzino dietro la cucina>>. Mi rifiutai, là non ci sono né finestre né stufa.

Andai al Policlinico, e quando tornai risultò che avevano forzato la porta della mia camera, le mie cose le avevano gettate alla rinfusa nello stanzino. La vicina mi disse: <<Mi sono tenuta il divano; tanto non entrava nella sua nuova camera>>.

Ciò che stupisce è che aveva terminato le tecniche, e il marito morto era un uomo buono e tranquillo che lavorava come contabile a Ukopspilk. <<Lei è fuori legge>> mi disse, con un tale tono, come se questo fatto le creasse un gran vantaggio. Pensare che la sua Alenuska se ne stava da me tutta la sera ed ascoltava le favole che le raccontavo. Questa era la sua nuova casa, la bambina non voleva andare a dormire e la madre doveva portarla via in braccio. In quel periodo, Viten’ka, avevano riaperto il nostro Policlinico, avevano licenziato me e un altro medico ebreo. Io andai a chiedere i soldi per quel mese di lavoro, ma il nuovo amministratore mi disse: <<Che vi paghi Stalin per quello che avete guadagnato sotto il potere sovietico, scrivetegli a Mosca>>. L’infermiera Marusja mi abbracciò lamentandosi sottovoce: <<Signore, mio Dio, cosa sarà di voi, cosa sarà di tutti voi>>. E il dottor Tkacev mi strinse la mano. Io non so che cosa ci sia di più penoso, se la gioia maligna o gli sguardi compassionevoli con i quali si guarda un gatto rognoso agonizzante.

Non avrei mai pensato di provare niente di simile.

Molta gente mi stupì. E non solo gente ignorante, incattivita, analfabeta. Ecco un vecchio pedagogo, un pensionato di 75 anni, che mi chiedeva sempre di te, mi diceva di mandarti i suoi saluti, sosteneva <<è il nostro orgoglio>>. In quei giorni maledetti, incontrandomi, per non salutarmi si voltava dall’altra parte. Poi mi riferirono che durante l’assemblea che aveva avuto luogo nella sede del comando militare, aveva dichiarato: <<l’aria è diventata più limpida, ora non puzza di aglio>>. A cosa gli serviva questo – sono parole che sporcano. E nella stessa assemblea quante calunnie furono scagliate contro gli ebrei... Ma, Viten’ka, certo non tutti parteciparono a questa assemblea. Molti si rifiutarono. E sai, nella mia esperienza dell’epoca zarista, l’antisemitismo era legato al patriottismo di bassa lega di gente che faceva parte della Unione dell’Arcangelo San Michele. Ma qui ho visto che quelli che proclamano la liberazione della Russia dagli ebrei, si umiliano davanti ai tedeschi, si comportano come dei miserabili lacché, pronti a vendere la patria per trenta denari d’argento. E questa gente miserabile che viene dai sobborghi, si impossessa degli appartamenti, di coperte, vestiti; simile gente, di certo, uccideva i medici all’epoca dei tumulti per il colera. E poi c’è la gente apatica, che dice di sì a ogni malvagità, perché non si supponga che sono in disaccordo col potere.

(V. S. Grossman, Vita e destino , Milano, Jaka Book, 1998, pp. 83-84. Traduzione di C. Bongiorno)

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