Polacchie ed ebrei, al tempo dell'occupazione tedesca

Nel corso della guerra, l’antisemitismo di molti polacchi non si attenuò, neppure quando gli ebrei vennero deportati e uccisi a milioni. Le memorie dei protagonisti, pertanto, registrano sia diversi gesti di solidarietà, compiuti a rischio della vita, sia numerosi episodi di tradimento, di delazione e di appropriazione di beni ebraici, da parte della popolazione polacca. Il racconto seguente fu steso nel maggio del 1943, da un intellettuale ebreo che morì pochi mesi più tardi (in ottobre) a Varsavia.


Vorrei descrivere ancora l’atteggiamento dei polacchi verso gli ebrei e in generale verso l’azione di sterminio degli ebrei. I ceti più bassi della popolazione urbana nonché i contadini del circondario avevano fiutato da dove soffiava il vento. Avevano capito che si offriva loro l’occasione di arricchirsi, l’unica nel corso dei secoli. Si poteva impunemente saccheggiare, derubare, uccidere persone, ragion per cui molti si accinsero a quest’opera con la parola d’ordine adesso o mai più. Si limitavano ad alzare le braccia al cielo, ringraziando per la fortuna di vivere in tempi del genere… Pensavano d’essere innocenti, dal momento che responsabili erano soltanto i tedeschi.

In ogni città in cui aveva luogo un’azione [= una deportazione di massa verso Treblinka o verso qualche altro centro di sterminion.d.r.] il ghetto veniva circondato da una massa di canaglie che prendevano parte a una vera e propria caccia agli ebrei, una caccia secondo tutte le regole dell’arte venatoria, con i battitori. Sono morti molti ebrei per loro mano? Un numero incalcolabile! Nel migliore dei casi i battitori prendevano agli ebrei il denaro, rinunciando a condurli al posto di guardia della gendarmeria [tedesca – n.d.r.]. Ma anche questo equivaleva a una condanna a morte. Infatti, che doveva mai fare un ebreo senza quattrini? Poteva andar da solo dai gendarmi e pregarli che gli sparassero. Io stesso ho visto casi del genere e li ho sentiti raccontare dalla bocca dei polacchi.

Il nostro portinaio, Jan Dabrowski, catturò e consegnò nelle mani dei gendarmi un grande numero di ebrei, dopo averli preventivamente derubati. Questa era la solidarietà di cui dava prova la folla, l’anonima folla. I bigliettai dei trenini [= piccoli convogli regionali, che collegavano tra loro le città e i piccoli centri della Polonia – n.d.r.], quando scorgevano un ebreo dicevano tra sé e sé: <<Ho preso un uccellino>>. L’uccellino naturalmente andava spennato. Questo lo so da altri, io invece sono stato testimone del modo in cui un bigliettaio controllava i documenti delle donne di dubbio aspetto. In novantanove casi su cento quel bigliettaio si esponeva a esser svergognato. <<Che cosa? Mi ha preso per un’ebrea?>> si sentiva dire allora. <<Sarei curiosa di sapere se lei cerca ebrei per dovere d’ufficio o a scopo privato>>.

Ma nel centesimo caso l’ebrea scoperta doveva ripagare con gli interessi il bigliettaio per il discredito subito. A Varsavia è spuntata addirittura una nuova professione: il cacciatore di ebrei. Non bisogna però prendere a sassate queste persone per il fatto che lavorano al servizio dei tedeschi. In fin dei conti si tratta soltanto di plebaglia, e che in Polonia la metà della popolazione appartenga ai ceti più bassi è un’altra faccenda.

Lo strano è che, quando noi non ci sognavamo nemmeno che l’ordine di assassinare gli ebrei riguardasse tutti gli ebrei, i polacchi hanno immediatamente capito che nessun ebreo sarebbe sopravvissuto alla guerra. In generale sono successi fatti che neppure il massimo genio sarebbe in grado di descrivere. […] Capitava infatti che un polacco avesse per amico un ebreo, il quale aveva nascosto da lui delle cose. Se poi garbatamente quest’ultimo se ne andava a Treblinka, la questione era risolta. Il patrimonio aumentava, la coscienza era pulita: tout va très bien [= tutto va per il meglio – n.d.r.]. Andava peggio se l’ebreo si rivelava importuno, voleva vivere e si ricordava delle sue cose. In quel caso vi era di che chiacchierare con la gente. Val la pena di restituirgliele? E’ pur sempre un ebreo e, comunque vada, alla guerra non sopravvive, quindi dopo la guerra non potrà contraccambiare il favore. Non potrà neppure appellarsi a un tribunale, non getterà ombra su di un nome rispettabile. Restituirgli le cose, quindi, è semplicemente un peccato. Noi gliele rendiamo, arrivano altri  e se le prendono. La maggioranza trovava una risposta facile: <<La gendarmeria si è portata via tutto, non venga più da noi>>. […]

Mi è difficile scrivere sul conto dei polacchi. Quel che sta succedendo adesso è la più grande disillusione esistenziale che abbia mai vissuto. Per ventisei anni [= l’autore era nato nel 1916 – n.d.r.] ho vissuto tra i polacchi, ho fatto mie la cultura e la letteratura polacche, ho amato la Polonia, l’ho considerata come la mia seconda patria e soltanto nel corso dell’ultimo anno ho conosciuto il vero volto dei polacchi.

Scriverò molto volentieri di ogni fatto concernente il nobile comportamento d’un polacco verso un ebreo, ma non posso passar sotto silenzio l’abiezione di coloro che, per voglia di guadagno o lasciandosi prendere da un cieco odio, hanno sacrificato la vita di centinaia di migliaia di persone. Bisogna guardare la verità in faccia. Gli ebrei sono morti innanzitutto perché non si sono resi conto in tempo del grado cui potevano giungere la barbarie e il vandalismo tedeschi. Tuttavia erano perfettamente consapevoli della bassezza di alcuni polacchi, sapevano che cos’era quel che chiudeva di fronte a loro i portoni del quartiere polacco e li costringeva ad aspettare nel ghetto una prossima e ineluttabile condanna a morte.

Non sono affatto accecato, non ritengo che fosse dovere di ogni polacco nascondere, mettendo a repentaglio la propria vita, ogni ebreo. Penso però che dovere della società polacca fosse quello di rendere possibile agli ebrei il libero movimento all’interno del quartiere polacco. La società polacca avrebbe dovuto condannare duramente tutti i cacciatori di ebrei.

E’ vero, dei polacchi hanno aiutato me, mio padre, mia madre, hanno aiutato migliaia di altri ebrei. Pensando ai vili, non bisogna trarre conseguenze sul contro di tutti. Ha senso fare una statistica delle buone e delle cattive azioni? No, non è questo l’importante! L’Altissimo ha già preso posizione in materia. Nel Vecchio Testamento è scritto che, se in una città si trovano dieci giusti, quella città non verrà distrutta. Probabilmente anche a Varsavia e in ogni altra città si troveranno dieci giusti.

(C. Perechodnik, Sono un assassino? Autodifesa di un poliziotto ebreo, Milano, Feltrinelli, 1996, pp. 115-120. Traduzione di M. Martini)

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