Gli ariani

Il fascino dell’India
Parigi, 1937. Cameratismo, di Josef Thorak. Le figure, alte sette metri, ornavano il padiglione tedesco all’Esposizione internazionale di arte, artigianato e scienze.Nel 1786, l’inglese William Jones dimostrò la parentela esistente fra la più antica lingua indiana (il sanscrito) da un lato, il latino, il greco, le lingue tedesche, gli idiomi celtici e il persiano, dall'altro. In Germania, la teoria di Jones venne divulgata soprattutto da Friedrich von Schlegel, il cui saggio Della lingua e della sapienza degli indiani uscì nel 1808: <<Non trovo strana questa idea - scriveva von Schlegel - che le più grandi nazioni sono discese da una medesima stirpe, e che le nazioni, a considerarle direttamente o indirettamente nella loro origine, non sono altro che delle colonie indiane >>. Lo stesso Schlegel, poi, nel 1819, propose il termine Ari (dal termine sanscrito arya = nobile ) per definire i popoli che parlavano quelle lingue affini - che già erano state chiamate nel 1816 (dall'inglese Thomas Young) Indoeuropee - o meglio ancora per indicare il popolo originario, che avrebbe parlato l'indoeuropeo archetipo, da cui tutte le altre lingue sarebbero derivate in seguito.

All’inizio dell’Ottocento, era universalmente ammesso, da tutti i più prestigiosi filologi dell'Ottocento, che la lingua parlata da un popolo fosse lo specchio del suo spirito, cioè riflettesse fedelmente i suoi caratteri fondamentali. Così, dalla maggiore complessità e articolazione delle lingue indoeuropee, rispetto all'ebraico e all'arabo, si indusse progressivamente una maggiore intelligenza e una più sviluppata creatività spirituale degli ariani rispetto ai cosiddetti semiti.

Il conte de Gobineau

Il più coerente pensatore razzista dell'Ottocento fu il conte francese Arthur de Gobineau, che nel 1853-1855 pubblicò una complessa opera intitolata Saggio sull'ineguaglianza delle razze umane. Per la prima volta, il concetto di razza venne assunto come criterio per comprendere la dinamica storica generale e, più in dettaglio, le vicende recenti del proprio paese. Secondo Gobineau, esistevano tre razze fondamentali (la gialla, la nera e la bianca), ognuna delle quali produceva un proprio tipo specifico di civiltà. Tuttavia, mentre la razza bianca possedeva grandi facoltà creatrici ed era capace di porre un freno ai propri impulsi, i gialli pensavano solo al benessere materiale; i neri, infine, erano dotati di scarsa intelligenza e caratterizzati da un animalesco eccesso di sensualità.

La Rivoluzione francese, secondo Gobineau, era stato il prodotto di un micidiale miscuglio razziale verificatosi nel corso della Storia; i pochi bianchi rimasti puri, i nobili, erano caduti vittime di una moltitudine di individui razzialmente ibridi: i borghesi, con la loro sete di denaro, non potevano essere che i discendenti di degenerate unioni tra bianchi e gialli; quanto alla plebe parigina e ai sanculotti , il loro bestiale comportamento dimostrava che, nelle loro vene, scorreva ormai in prevalenza sangue di esseri neri, lontanissimi in tutto e per tutto dai veri uomini, i bianchi.

Per Gobineau, la mescolanza delle razze era la grande tragedia del genere umano, il quale (nella sua accezione più forte e più completa) si restringeva tuttavia solo agli europei di pelle chiara, al punto che la loro estinzione avrebbe significato la fine della civiltà.

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