Il fascino del sancrito

In una conferenza tenuta il 2 febbraio 1786, il linguista inglese William Jones celebrò la grandezza del sancrito e ribadì la sua affinità linguistica con le principali lingue europee. Tutti gli studiosi di linguistica del XIX secolo erano convinti che un idioma riflettesse i caratteri psicologici della nazione che lo aveva creato e lo utilizzava. La conseguenza di questo assioma fu la celebrazione dell’intelligenza dei popoli indoeuropei (o a ariani), considerati individui dotati di una speciale spiritualità e di un’eccezionale capacità di astrazione.

Quale che sia la sua antichità, la lingua sanscrita ha una struttura mirabile, più perfetta della greca, più ricca della latina e più raffinata di entrambe; pure, nelle radici dei verbi e nelle forme grammaticali, è riconoscibile un’affinità con queste due lingue maggiore di quanto non ci si possa aspettare dal caso. Affinità tale, in realtà, che un filologo non può esaminare i tre idiomi senza convincersi che provengono da una fonte comune, forse oggi scomparsa. Ragioni analoghe, anche se non altrettanto convincenti, inducono a supporre che il gotico e il celtico, quantunque fusi con un idioma del tutto diverso, abbiano avuto la stessa origine del sanscrito; nella stessa famiglia si potrebbe includere il persiano, se fosse questa la sede per dibattere i problemi relativi alla Persia.

(M. Olander, Le lingue del Paradiso. Ariani e Semiti: una coppia provvidenziale, Bologna, Il Mulino, 1991, p. 22)

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