Lavoratori tedeschi e lavoratori stranieri
I campi di educazione attraverso il lavoro
Negli AEL venivano condotti anche i lavoratori stranieri che dovevano essere puniti per qualche infrazione. La deportazione su grande scala di manodopera dai territori occupati iniziò dopo l’arresto dell’offensiva sul fronte russo. Dapprima, la maggior parte della manodopera venne reclutata in Francia e negli altri paesi occidentali. Poiché il numero di lavoratori non era sufficiente a coprire tutte le esigenze della produzione bellica, il 21 marzo 1942 Hitler autorizzò il suo plenipotenziario per il reclutamento della manodopera, Fritz Sauckel, a procurarsela con ogni mezzo, nei territori dell’Est, cioè in Polonia, in Ucraina, in Bielorussia e nei Paesi Baltici.
I lavoratori dell’Est
Nel maggio 1942, furono catturati in URSS 148.000 civili, in giugno se ne aggiunsero altri 164.000. In tutto, furono circa 2.800.000 (tra il 1942 e il 1944) i cittadini sovietici che furono deportati in Germania. Le modalità di reclutamento furono ben presto così sommarie e brutali, da lasciare perplessi persino molti funzionari tedeschi, convinti che le retate di massa compiute nei cinema o tra le donne in fila per comprare il latte, avessero come unico risultato quello di spingere un numero crescente di civili nelle fila dei partigiani. Persino il governatore della Polonia Hans Frank, verso la fine del 1943, denunciò il fatto che le razzie indiscriminate di lavoratori polacchi (in tutto, più di 2.500.000) da spedire all’interno del Reich avevano gravissimi effetti controproducenti, in quanto aggravarono notevolmente l’odio della popolazione contro i tedeschi.
Una volta condotti in Germania, questi lavoratori forzati dovevano portare ben in vista sui vestiti precisi segni di identificazione: una P per i polacchi, una OST (= Est) per i sovietici. Se qualcuno dei deportati dall’Est avesse osato avere relazioni sessuali con una donna tedesca, sarebbe stato punito con la pena di morte.