Dakla, verso la ricostruzione
16.03.2017
DAKLA- Dakla, ultima tappa del viaggio della delegazione. Si torna nelle wilaye dei campi profughi, e in quella che è stata maggiormente danneggiata dall’alluvione del 2015. Dakla prima era un’oasi, ora conta molti edifici quasi distrutti. “Nel 2016 abbiamo ricostruito molto, ci rimane da fare ancora il 20%” spiega il governatore della wilaya, Salek Baba.Tra le costruzioni che purtroppo hanno subito danni, anche la scuola elementare che porta il nome di Carlo Giuliani, costruita con fondi italiani e grazie anche all’impegno di Nexus Emilia-Romagna e dell’associazione El Ouali. Ora ospita ancora tanti bambini, più di 500, ma il tetto e le finestre sono danneggiate e il pannello solare non funziona più.
Il primo impatto entrando nelle aule rimane però lo stesso rispetto alle scuole di altre wilaye: ci sono sempre cartelloni colorati alle pareti, festoni al soffitto, lavagne con scritte in arabo e bambini curiosi ordinatamente seduti ai loro banchi - spesso di diverse forme e altezze. I danni dell’alluvione non hanno colpito lo spirito del popolo del deserto. In occasione della visita della delegazione regionale, è stata infatti posata – letteralmente- la prima pietra per la pizzeria che sorgerà a Dakla vicino ad un centro giovanile. Si tratta di un progetto di microcredito dell’associazione El Ouali che prevede un primo finanziamento e la prospettiva che, una volta costruito il locale e avviato l’attività, i giovani Saharawi possano continuare nell’impresa. Di fianco sorge anche il salone di bellezza – altro progetto di microcredito appena avviato- con le cinque ragazze che da oggi inizieranno a lavorare. La speranza e la tenacia non mancano.
La delegazione ha avuto anche modo di confrontarsi con Roberto Faccani, volontario della Protezione civile della Regione Emilia-Romagna, inviato a Dakla per un progetto di sostegno alla Protezione civile Saharawi. Faccani ha confermato l’avvio positivo delle attività di formazione con i colleghi del deserto. “Tra i maggiori incidenti che si verificano in queste zone, in primis quelli domestici, legati ad esempio all’uso delle bombole del gas” spiega. Campagne radio e spot tv potrebbero essere una soluzione per informare la popolazione sui rischi che corrono. “E soprattutto ci vorrebbero più mezzi di soccorso che possano coprire almeno un raggio di 50 chilometri per evitare di rimanere inermi di fronte ai disastri”.
Ci si avvia verso la ricostruzione, anche se purtroppo ancora in un campo profughi. La società Saharawi ha dimostrato di essere un modello di democrazia, un esempio di grande civiltà ed è riuscita a farlo vivendo per 40 anni da rifugiata. L’ha fatto nonostante quindici anni di guerra alle spalle, nonostante le condizioni di vita in luoghi instabili, nonostante la scarsità dei mezzi a disposizione e nonostante le calamità naturali. Gli aiuti ci sono stati, è vero. Il Presidente della Rasd, Brahim Gali, che ha accolto proprio l’ultimo giorno a Rabouni la delegazione, l’ha ricordato, ringraziando l’Italia e la Regione Emilia-Romagna. “Voi siete in testa al treno della solidarietà” ha detto a Barbara Lori e Yuri Torri, consiglieri dell’Intergruppo di amicizia con il popolo Saharawi. Gli aiuti umanitari sono importanti, ma non sono la soluzione. “In questo pezzo di terra noi siamo ospiti, siamo provvisori” ha detto, rimarcando la delusione per le Nazioni Unite che ancora non hanno preso una posizione in merito al referendum di indipendenza. Referendum che ancora non c’è stato. “Noi continueremo la nostra battaglia per i diritti” ha aggiunto il Presidente “l’Italia quest’anno è membro del Consiglio di Sicurezza. Sono sicuro che farà la differenza. E’ il nostro augurio”.
Francesca Mezzadri