"Per l'Ospedale Maggiore di Bologna una mediazione è possibile"

22.02.2013

L'intervento del Difensore civico Daniele Lugli in merito alla vicenda dell'Ospedale Maggiore, dove da tempo viene segnalato come persone di nazionalità straniera usino in maniera inappropiata locali del Pronto soccorso non a loro dedicati.

 

"L’irrituale sopralluogo di rappresentanti della Lega Nord, amministratori e militanti, presso l’Ospedale Maggiore di Bologna mi interpella nel ruolo di Difensore civico regionale, cui Statuto (art. 70) e legge regionale attribuisce una funzione di stimolo e promozione della buona amministrazione in un’ottica di mediazione dei conflitti, con particolare riguardo alle fasce deboli della popolazione. Non mi soffermo sul cosiddetto sopralluogo, variamente definito dalla stampa, e sulle sue modalità. Ha posto in risalto una situazione problematica e conflittuale che merita di essere affrontata con ogni attenzione e per la quale il presidio del Pronto soccorso, anche con l’impiego dell’esercito, non ritengo abbia alcun rapporto con la soluzione di ciò che l’ha determinata.

 

Mi pare di comprendere che persone di nazionalità straniera, in situazione di grande disagio abitativo e sociale, usino locali e servizi igienici dell’ospedale certamente non a loro dedicati, ma a disposizione dei pazienti e del personale ed eccezionalmente dei visitatori. Già questo aspetto mi chiama ulteriormente in causa. La legge regionale sull’immigrazione mi chiede infatti di promuovere il corretto svolgimento dei rapporti tra cittadini stranieri e pubbliche amministrazioni. Ho perciò preso immediato contatto con il Servizio regionale interessato e con Comune e Ausl di Bologna per collaborare con tutte le parti interessate, perché i rapporti di queste persone con l’ospedale e l’utilizzo delle sue strutture siano ricondotti in termini corretti. Mi pare indubbia una situazione conflittuale, che richiede di essere ben conosciuta in tutti i suoi aspetti per una possibile conciliazione, tutelando i diritti delle persone e la particolare “protezione delle categorie di soggetti socialmente deboli”, secondo quanto mi è richiesto dalla legge regionale. Deboli socialmente sono certamente quei cittadini, che trovo indicati come rom, che si introducono nell’ospedale non in qualità di pazienti, operatori o visitatori. In una situazione di debolezza si trovano pure le persone in cura presso la struttura ospedaliera. Pur non avendo io competenze particolari sulle condizioni dei lavoratori ho ben chiaro che il benessere degli operatori, dal punto di vista organizzativo e lavorativo, ha un immediato riflesso nella cura degli ospiti.

 

Ho chiesto perciò di essere invitato agli incontri che le amministrazioni interessate vorranno indire al riguardo e, per una mia maggiore informazione, ho richiesto intanto un confronto con il direttore dell’Ausl e con l’assessore comunale competente. La nostra Regione è ben presente, anche in tema di sanità, tra le buone prassi citate dalla 'Strategia nazionale d’inclusione dei rom, dei sinti e dei caminanti' sia per un progetto sulla salute degli immigrati (e tra questi anche i rom), che comprende l’Agenzia Regionale Sanitaria Sociale e le Ausl di Cesena e Reggio Emilia, sia per il progetto biennale 'Un modello per l’integrazione socio-sanitaria delle popolazioni svantaggiate'. Quest’ultimo è volto all’integrazione territoriale dei servizi sanitari a vantaggio delle popolazioni fragili, tra cui i Rom e i Sinti, coordinato dalla Regione Emilia Romagna e attuato, in prima linea, dall’Inpm (Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti ed il contrasto delle malattie della Povertà). Sono convinto che, pur nelle difficoltà evidenziate, la circostanza per cui persone di altre nazionalità si affacciano alla struttura sanitaria, sia pure impropriamente, possa essere occasione di contatto per comprendere anche dal punto di vista della salute la situazione di questa fascia di popolazione".