Internamento e violenze contro i civili

I campi della Grande guerra
Terezín, 2006. L’ingresso della piccola fortezza, trasformata dai nazisti in lager.Nel 1914-1915, le autorità austro-ungariche disposero l’internamento a Terezín di più di un migliaio di cosiddetti Russofili, cioè di abitanti delle regioni più orientali dell’impero (Galizia, Buchovina e Rutenia) sospettati di simpatie nei confronti della Russia.

Un fenomeno simile si verificò, durante la prima guerra mondiale, in tutti i principali paesi combattenti. Le autorità statali si premunirono di rendere inoffensivi tutti quei soggetti che erano ritenuti pericolosi o inaffidabili, perché uniti da legami affettivi, religiosi o linguistici con il nemico.

I russi, ad esempio, man mano che i tedeschi avanzavano nel cuore della Polonia, impiccarono moltissimi ebrei – accusati di essere spie del nemico – e infine ne deportarono verso l’interno circa mezzo milione, nel cuore dell’inverno.

In Francia, in una cinquantina di campi, allestiti spesso, come a Terezín, in vecchie fortezze in disuso e situati soprattutto nell’ovest (Bretagna e Vandea), nel sudest (Nizza) e in Corsica, vennero rinchiusi circa 60 000 civili: cittadini dei paesi nemici, prostitute e, soprattutto, individui originari dell’Alsazia-Lorena, ritenuti inaffidabili, a causa della posizione di confine di quella particolare regione, contesa tra Francia e Germania. Le loro condizioni di vita non erano dure; tuttavia, si diffuse una particolare forma di depressione che un medico svizzero definì sindrome del filo spinato.

Il genocidio degli armeni

Nel contesto più generale dello sforzo compiuto da tutti gli stati belligeranti, per impedire di nuocere ai nemici interni (o a coloro che, per un motivo o per l’altro, potevano parteggiare per il nemico) l’episodio più grave fu sicuramente la sistematica deportazione della popolazione armena, cristiana, residente da secoli nell'Anatolia orientale, da parte dei turchi ottomani. L’operazione ebbe inizio nel gennaio del 1915 e provocò la morte di almeno 1 200 000 persone. Senza dubbio, si può parlare di un vero e proprio genocidio, che tuttavia presenta numerose differenze, rispetto alla Shoah.

La divergenza più importante riguarda la motivazione iniziale, che nei due casi animò i governi artefici del crimine. Nel caso nazista, la molla di base era un’ideologia, mentre nel caso ottomano si voleva prevenire il pericolo di una rivolta nazionale. Emblematico, sotto questo profilo, il diverso destino delle donne ebree e di quelle armene. Le prime non furono oggetto di una sistematica violenza sessuale da parte dei tedeschi, ma infine vennero sterminate. Moltissime donne armene, invece, vennero stuprate, mentre altre furono vendute a famiglie musulmane, insieme ai loro bambini. I turchi non sentirono la necessità di cancellare fisicamente anche questa minoranza, ormai del tutto inoffensiva.

Come scrive lo storico francese Yves Ternon, mentre l'odio nazista è totale, razziale, biologico, << i turchi sono pragmatici: risolvono freddamente un problema, senza odio, da padroni che puniscono un servo ribelle. La frenesia nazista non ha limiti: il loro rigore nell'esecuzione esprime una determinazione nutrita di una passione delirante. Per i nazisti tutti gli ebrei, viventi e non ancora nati, sono condannati a morte. Non si tratta soltanto di un genocidio domestico totale, ma di un genocidio mondiale totale. In sostanza, la componente strutturale è, nel genocidio armeno, più determinante di quella ideologica. Il contrario avviene per il genocidio degli ebrei>>.

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