Le disperate condizioni nell'esercito tedesco nel 1918
Durante l’ultima grande offensiva, nella primavera del 1918, il mio reparto si spinse oltre Cambrai. Le difficoltà di approvvigionamento erano enormi. Ogni giorno ricevevamo una misera cucchiaiata di marmellata di rabarbaro e un pezzettino di pane e sopportavamo marce di 40 o 50 chilometri. Ormai non riuscivamo più a reggerci in piedi. Lungo le strade e nei campi giacevano dozzine di cavalli morti anche da molti giorni. I soldati staccavano dalle carcasse grossi pezzi di carne, che venivano di solito cotti poco e male. Non c’era sale, né altro condimento, eppure il pasto veniva consumato con indescrivibile voracità per cercare di placare un po’ la fame. Anch’io ero torturato dalla fame, ma non ebbi il coraggio di mangiare quella carne, nonostante che durante la mia giovinezza non avessi conosciuto altra carne che quella di cavallo e l’avessi sempre mangiata con piacere. Una volta ci provai, dopo che un commilitone me l’aveva condita con delle spezie, ma ne restai nauseato per un giorno intero.
L’avanzata tedesca si fermò ad Amiens. I francesi avevano ricevuto dei rinforzi americani e ciò fece crollare il morale delle nostre truppe. Ci sentimmo traditi da von Tirpitz [l’ammiraglio che aveva sostenuto la necessità di creare una grande flotta di corazzate e sottomarini: una scelta che aveva spinto prima l’Inghilterra, e poi gli Stati Uniti, ad allearsi con la Francia e la Russia, contro una Germania sempre più isolata – n.d.r.] e da tutti gli altri profeti di guerra, che avevano sempre proclamato che l’America non sarebbe mai stata in grado di schierare il proprio esercito in Europa. Dopo quattro terribili anni di guerra, le truppe tedesche, prive ormai di tutto, non erano più in condizione di offrire una seria resistenza alle truppe americane, ben nutrite e tecnicamente molto ben armate. Davanti ad Amiens, cominciammo a capire cosa significava la presenza degli americani sul fronte francese. Le prime granate ebbero un effetto catastrofico tra le nostre file, sia sotto l’aspetto fisico sia morale, come testimoniò la debole reazione della nostra artiglieria. Lungo la strada vidi i grossi mortai da 210 millimetri, di cui andavamo tanto orgogliosi, fermi e inutilizzati perché senza munizioni. L’avanzata era stata molto rapida, ma i treni delle munizioni non avevano potuto tenere il ritmo. I cannoni muti diventavano il simbolo della nostra disperazione, mentre tutto intorno migliaia di proiettili americani sconvolgevano il terreno e aprivano vuoti enormi nelle file tedesche.
(M. Hölz, Un ribelle nella Rivoluzione Tedesca 1918-1921, Pisa-Genova, BFS Edizioni-Collegamenti Wobbly, 2001, pp. 36-37. Traduzione di M. Baluschi)