I grandi magazzini di Berlino, tra paura e fascino

Una delle principali novità che caratterizzarono Berlino nei primi anni del Novecento fu lo sviluppo dei grandi magazzini, che si imposero nel panorama urbano con le loro imponenti strutture a più piani e le accattivanti vetrine. Nel 1907, alla voce Grandi magazzini, l’elenco telefonico di Berlino ne registrava ben 41. Nel 1911, lo scrittore Georg Heym scrisse un racconto, intitolato Il pazzo. La vicenda si conclude all’interno di una di queste nuove strutture, che il protagonista scambia per una chiesa. In effetti, i grandi magazzini si accingevano a diventare i templi della nuova società di massa.

Passò per alcune strade affollate, traversò una piazza, e ancora altre strade. Si sentiva a disagio fra la gente. Come oppresso. Cercò un angolo tranquillo, dove sdraiarsi. Scorse una casa con un grande portone. All’ingresso c’era un uomo in livrea marrone e con bottoni d’oro. Altre persone non c’erano. Passò accanto al portiere, che lo lasciò entrare tranquillamente. Ne fu meravigliato. Non mi conosce? Si chiese. E, in fondo, si sentì offeso.

Arrivò a una porta che girava continuamente. Fu afferrato da un battente, ricevette una spinta e si trovò all’improvviso in una grande sala. C’erano tavoli innumerevoli pieni di trine, di vestiti. Tutto galleggiava in una luce dorata, che proveniva da lunghe finestre distribuendosi nella penombra dell’enorme sala. Dal soffitto scendeva un lampadario gigantesco, splendente di infiniti diamanti. Ai lati del salone grandi scalinate conducevano ai piani superiori, percorse da gente che saliva e scendeva.

<<Accidenti, che chiesa elegante>>, pensò. Nei passaggi c’erano signori in abito scuro e ragazze vestite di nero. Dietro a un banco sedeva una donna, qualcuno contava del denaro davanti a lei. Una moneta cadde e tintinnò per terra.

Salì la scala, passò per altri saloni pieni di mobili, arredi, quadri. In uno erano disposti molti orologi, che ad un certo punto si misero a suonare tutti insieme. Dietro una grande tenda suonava un armonium, era una musica malinconica, che sembrava perdersi lentamente in lontananza. Di soppiatto scostò la tenda, e vide molta gente che ascoltava una pianista. Tutti i visi erano seri e assorti, ed egli si sentì invadere da una sensazione di solennità. Ma non osò entrare.

Giunse a una porta munita di inferriata. Al di là c’era un gran pozzo, nel quale delle funi sembravano correre su e giù. Un grosso armadio salì dal basso, il cancello si aprì e qualcuno disse: <<Salite, prego>>, - si trovò nell’armadio, volando come un uccello verso l’alto.

Lassù incontrò molte persone che stavano intorno a grandi tavoli pieni di piatti, vasi, bicchieri e recipienti o si muovevano nei passaggi tra file di banchi sui quali brillavano, come un campo di fiori di vetro, cristalli esili, candelieri o lampade multicolori di porcellana dipinta. Lungo la parete che fiancheggiava questi oggetti preziosi girava, rialzata di pochi gradini, una piccola galleria.

Riuscì a fendere la folla e salire per la scaletta fin sulla galleria. Si appoggiò alla balaustra e vide, sotto di sé, il fiume di gente che, come innumerevoli mosche nere, sembrava produrre – con le sue teste, gambe e braccia in perenne movimento – un brusío continuo. E, insonnolito dalla monotonia di questo rumore, stordito dall’afa del pomeriggio, malato per le esaltanti sensazioni di quel giorno, chiuse gli occhi.

(P. Chiarini – A. Gargano, La Berlino dell’espressionismo, Roma, Editori Riuniti, 2001, p. 92-94)

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