L'antisemitismo della ragione
I fatti sono questi: in primo luogo, il giudaismo è in tutto e per tutto una razza, e non una fede religiosa. Attraverso un millenario incrocio tra apartenenti [sic] allo stesso gruppo per lo più mediante matrimoni in cerchie ristrettissime, l’ebreo in generale è riuscito a mantenere la propria razza e le proprie caratteristiche con più rigore di quanto non abbiano fatto numerosi popoli tra i quali vive. Ne deriva che tra noi vive una razza tedesca, straniera, la quale non vuole e non è neppure in grado di rinunciare alle proprie caratteristiche razziali, di sbarazzarsi del suo modo di sentire, di pensare e di agire particolari, la quale tuttavia usufruisce dei nostri stessi diritti politici. Già i sentimenti dell’ebreo sono limitati alla pura materialità, ma questo vale tanto più per il suo modo di pensare e di agire... Tutto ciò che spinge l’uomo a elevarsi, si tratti di religione, di socialismo, di democrazia, per l’ebreo non è che un mezzo inteso allo scopo di soddisfare la propria brama di denaro e di potere. Le conseguenze di questa sua attività sono pertanto la tubercolosi razziale dei popoli.
Ne deriva quanto segue: l’antisemitismo mosso da ragioni puramente sentimentali troverà la sua espressione conclusiva sotto forma di pogromi [sic], mentre invece l’antisemitismo razionale deve indurre alla lotta pianificata, condotta con mezzi legali, contro gli ebrei, e all’eliminazione dei loro privilegi... Il suo obiettivo ultimo non può però essere che la cacciata di tutti gli ebrei. Ma potrà farlo solo un governo di forza nazionale, mai un governo di impotenza nazionale.
(J. Fest, Hitler, Milano, Rizzoli, 1991, p. 138. Traduzione di F. Saba Sardi)