La Baviera tra comunisti e nazionalisti
La rivoluzione di Monaco
Tra i rivoltosi, almeno 606 (di cui 335 civili, e tra questi tutti i principali leaders comunisti) furono giustiziati sommariamente oppure condannati a morte. I tribunali distribuirono circa 6000 anni di carcere, condannando 65 imputati ai lavori forzati, altri 1763 al carcere e 404 a forme meno gravi di detenzione.
Hitler a Monaco
Dopo la disfatta, Hitler tornò a Monaco il 21 novembre 1918. Per diversi mesi, si tenne in disparte, preoccupato solo di ritardare il proprio congedo, visto che il servizio militare era il suo primo vero e stabile impiego. Ovviamente, non aderì alla rivoluzione comunista di Monaco, ma non cercò neppure avventure emozionanti in qualche Corpo franco. Nella sua autobiografia, dice che subito dopo aver appreso, in ospedale, a Pasewalk, le modalità della disfatta tedesca, decise di dedicarsi all’attività politica. In realtà, la decisione fu presa in modo graduale, a Monaco, negli anni 1919-1920.
Dapprima Hitler fu impiegato dall’esercito come propagandista anti-bolscevico, con il compito di convincere le truppe a non sostenere mai più, in futuro, alcun tentativo rivoluzionario. Questo tirocinio di oratore militare fu un’esperienza fondamentale: per la prima volta, Hitler scoprì di avere un grande talento. Nei suoi discorsi politici finalizzati a nazionalizzare le truppe (l’espressione è dello stesso Hitler), si soffermava su problemi economici, sulla prima guerra mondiale, sulle prospettive di pace... Trattando di tutti questi problemi, l’accento di Hitler cadde sempre più spesso sulle colpe e le responsabilità degli ebrei, complice anche un ambiente – quello bavarese – quanto mai recettivo nei confronti di questo tema.