La testimonianza di un capo etiope

La testimonianza seguente fu rilasciata da ras Immirú ad Angelo Del Boca, uno storico che ha dedicato la sua intera esistenza professionale all’opera di ricostruzione della vicenda coloniale italiana, denunciandone i crimini e gli errori. Si noti che l’episodio descritto si svolse in data 23 dicembre 1935. Badoglio, dunque, agì di sua iniziativa (ancor prima di ricevere la formale autorizzazione di Mussolini, datata 28 dicembre). In effetti, in risposta proprio al telegramma del Duce, il 29 dicembre Badoglio scrisse: <<Già adoperato iprite. Se presenterassi occasione adopererò lanciafiamme>>. In codice, i bombardamenti a base di iprite erano chiamati azioni di sbarramento C (con indiretto riferimento alle bombe C.500T).

Era la mattina del 23 dicembre e avevo da poco attraversato il Tacazzè, quando comparvero nel cielo alcuni aeroplani. Il fatto, tuttavia, non ci allarmò troppo, perché ormai ci eravamo abituati ai bombardamenti. Quel mattino, però, non lanciarono bombe, ma strani fusti che si rompevano, appena toccavano il suolo o l’acqua del fiume, e proiettavano intorno un liquido incolore. Prima che mi potessi rendere conto di ciò che stava accadendo, alcune centinaia tra i miei uomini erano rimasti colpiti dal misterioso liquido e urlavano  per il dolore, mentre i loro piedi nudi, le loro mani, i loro volti si coprivano di vesciche. Altri, che si erano dissetati al fiume, si contorcevano a terra in un’agonia che durò ore. Fra i colpiti c’erano anche dei contadini, che avevano portato le mandrie al fiume, e gente dei villaggi vicini. I miei sottocapi, intanto, mi avevano circondato e mi chiedevano consiglio, ma io ero stordito, non sapevo che cosa rispondere, non sapevo come combattere questa pioggia che bruciava e uccideva.

(A.Del Boca, I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerra d’Etiopia, Roma, Editori Riuniti, 2007, p. 86)

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