La repressione della resistenza etiopica

La resistenza etiopica
Etiopia, 1936. Impiccagione di sei indigeni, per rappresaglia.Il 5 maggio 1936, Badoglio entrò ad Addis Abeba. Ma la vittoria militare e la proclamazione dell’Impero non significarono affatto la fine delle ostilità e delle violenze in Etiopia. Due terzi del paese sfuggivano al controllo italiano ed erano nelle mani di generali o funzionari del negus, che avevano almeno 100 000 uomini sotto il loro comando. La stessa Addis Abeba, pur occupata, era praticamente assediata, cioè circondata da bande di resistenti etiopici agguerriti e ben organizzati.

Intuito il pericolo, Badoglio si affrettò a rientrare in Italia, mentre il comando passò a Graziani, investito il 20 maggio del triplice incarico di viceré, governatore generale e capo di tutte le forze armate presenti in Africa Orientale. Nei mesi seguenti, Graziani si sforzò con ogni mezzo di liquidare la resistenza etiopica. Tutti coloro che venivano catturati erano fucilati o impiccati (particolare scalpore destò l’esecuzione sommaria del genero del negus, ras Destà, nel febbraio 1937), mentre il gas fu di nuovo impiegato su vasta scala: tra la fine ufficiale della guerra d’Etiopia e l’inizio del secondo conflitto mondiale, vennero usate almeno 550 bombe caricate a iprite o ad altri aggressivi chimici.

L'attentato a Graziani

Il 19 febbraio 1937, due giovani studenti eritrei lanciarono otto bombe a mano contro Graziani ed altre autorità italiane, radunate per una cerimonia ufficiale. L’attentato provocò sette morti e una cinquantina di feriti, tra cui lo stesso Graziani. La rappresaglia venne guidata dal federale fascista della capitale, Guido Cortese, che sguinzagliò per Addis Abeba centinaia di squadre d’azione, che si dedicarono ad una forsennata e sanguinaria caccia al moro. L’azione durò per tre giorni e furono assassinati moltissimi etiopici: i giornali inglesi e francesi dell’epoca riportavano cifre oscillanti tra i 1400 e i 6000 morti.

Nei giorni seguenti, la rappresaglia proseguì in forma militare, cioè ufficiale, sistematica e legale, sotto il diretto controllo delle autorità. Circa 400 alti notabili vennero deportati in Italia, mentre numerosi altri furono condotti in campi di concentramento improvvisati aperti a Nocra, in Eritrea e a Danane, in Somalia. Moltissimi indovini, cantastorie ed eremiti – rei di profetizzare la rapida disfatta degli invasori – furono arrestati ed eliminati. I soli carabinieri, tra febbraio e maggio del 1937, fucilarono 2509 etiopici.

L’episodio più grave della pacificazione condotta da Graziani avvenne nella città conventuale di Debrà Libanòs, i cui monaci furono accusati di aver protetto i terroristi che avevano compiuto l’attentato a Graziani. Stando al rapporto steso dal generale Pietro Maletti, responsabile dell’azione, il 21 maggio 1937 vennero uccisi 297 monaci (compreso il vice-priore) e 23 laici; in realtà, probabilmente, in quell’occasione gli etiopici assassinati furono almeno mille. Inoltre, il 26 maggio, Graziani ordinò l’esecuzione di tutti i diaconi (129 persone) e di altri 276 individui tra insegnanti e studenti di teologia. Nell’insieme, la rappresaglia contro Debrà Libanòs provocò dunque la morte di almeno 1400 etiopici.

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