Gli ebrei in Italia negli anni 1939-1943

Inflazione di provvedimenti umilianti
Italia, 1938. Fotografia riportata da Il Resto del Carlino, il 17 dicembre, per dimostrare l’adesione degli italiani alla campagna antisemita del regime.Dopo le prime leggi razziali del 1938, gli ebrei italiani furono colpiti da una vera valanga di provvedimenti amministrativi, che limitarono pesantemente la loro esistenza e spinsero molti di essi (circa 6000, tra il 1938 e il 1943) all’emigrazione. Tantissime attività e numerosi mestieri vennero vietati agli ebrei italiani, che non potevano essere amministratori o portieri di case abitate da ariani, commercianti di preziosi, fotografi, venditori di libri, articoli per bambini, carte da gioco e oggetti di cartoleria. Agli ebrei furono inoltre vietate la licenza di pescatore dilettante, la pubblicazione di annunci mortuari, l’inserimento del proprio nome negli elenchi del telefono, la detenzione e la vendita di radio, l’adesione a società sportive o ricreative (come, i circoli del tennis, degli scacchi e del bridge, o  il Club Alpino Italiano).

Quando iniziò la seconda guerra mondiale, la stampa antisemita italiana imitò subito la propaganda nazista, nell’addossarne la responsabilità agli ebrei (o meglio, al giudaismo internazionale). Il 16 maggio 1940 – mentre l’Italia era ancora in situazione di non belligeranza – il Ministero dell’Interno predispose una prima circolare che ordinava (in caso di coinvolgimento del Paese nella guerra mondiale) l’internamento di tutti i cittadini di Stati stranieri. Malgrado il provvedimento di espulsione dell’ottobre 1938, in Italia si trovavano a quell’epoca circa 3800 ebrei stranieri; per questi individui si disponeva, in caso di guerra, che fossero separati e trasferiti in strutture speciali, riservate a loro.

Il campo di Ferramonti

Poche settimane dopo che l’Italia ebbe dichiarato guerra a Francia e Inghilterra, il 20 giugno 1940 entrò in funzione il principale campo di concentramento per ebrei stranieri. Era stato allestito in fretta, nel corso del mese di maggio, a Ferramonti di Tarsia (in provincia di Cosenza). In settembre, con l’arrivo di 302 persone deportate da Bengasi, il campo raggiunse la cifra di 700 prigionieri (diversi dei quali donne e bambini).

Anche se, dal novembre 1941, furono condotti a Ferramonti anche prigionieri non ebrei (soprattutto jugoslavi e greci) la presenza ebraica non scese mai sotto il 75% del totale dei reclusi, che nell’agosto del 1943 toccò il proprio culmine, con 2 016 prigionieri. Il 14 settembre 1943, il campo venne liberato dalle avanguardie dell’esercito inglese.

La maggioranza degli ebrei italiani non venne internata. Nel maggio 1942, però, i soggetti di età compresa tra i 18 e i 55 anni (circa 10 000 persone) vennero precettati e adibiti al lavoro obbligatorio. L’operazione venne ampiamente propagandata dalla stampa fascista, ma si rivelò un completo fallimento sotto il profilo economico, in quanto gli individui furono in genere adibiti a lavori manuali, per i quali non avevano alcuna attitudine e competenza.

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