Il discorso inaugurale di F. D. Roosevelt

Il presidente americano F. D. Roosevelt pronunciò il suo discorso di inizio mandato il 4 marzo 1933. La crisi economica era al massimo della sua violenza e Hitler era già al potere da circa un mese. Entrambi gli statisti capirono che la crisi del Ventinove andava aggredita con procedure eccezionali: lo Stato, quindi, doveva assumersi precise responsabilità di guida economica. Tuttavia, l’intervento dello Stato tedesco nella dinamica economica consistè innanzitutto in commesse militari, in vista di una guerra d’espansione contro l’URSS. Pur adottando, di fatto, una ricetta economica simile, il punto di vista di Roosevelt resta di matrice democratica, del tutto diverso da quello hitleriano.

Oggi è giorno di consacrazione nazionale; e sono certo che i miei concittadini si attendono che, nel momento della mia ascesa alla Presidenza, io mi rivolga a loro con la franchezza e la decisione che l'attuale situazione della nostra nazione impone.

Questo è soprattutto il momento di dire la verità, l'intera verità, francamente e audacemente. Nè dobbiamo indietreggiare di fronte alla necessità di far fronte onestamente alle condizioni odierne del nostro paese. Questa grande nazione sopporterà come ha sempre sopportato, rinascerà e prospererà ancora.

Lasciate pertanto che io riaffermi in primo luogo la mia ferma convinzione che la sola cosa di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa, l'irragionevole ingiustificato terrore senza nome che paralizza gli sforzi necessari a convertire la ritirata in progresso.

In ogni ora oscura della nostra vita nazionale una guida franca e vigorosa ha ottenuta la comprensione e l'appoggio del popolo, elementi essenziali per la vittoria. Sono convinto che voi darete nuovamente il vostro appoggio a coloro che guidano il paese in questi critici giorni.

Con questo spirito da parte mia e da parte vostra noi faremo fronte alle comuni difficoltà. Le quali concernono, grazie a Dio, soltanto le cose materiali. I valori [= le azioni e i titoli, quotati in Borsa - n.d.r.] si sono ridotti a livelli fantastici; le tasse sono aumentate; la nostra capacità di pagamento è diminuita; il governo è di fronte ad una seria riduzione di entrate; i mezzi di scambio sono congelati nelle correnti commerciali; le foglie avvizzite dell'iniziativa industriale giacciono da ogni parte; gli agricoltori non trovano mercati per i loro prodotti; sono svaniti in migliaia di famiglie i risparmi di lunghi anni.

Fatto ancora più importante, un esercito di cittadini disoccupati è di fronte al duro problema dell'esistenza, ed un numero altrettanto grande lavora con scarso guadagno. Soltanto uno sciocco ottimista potrebbe negare la triste realtà del momento. [...]

Questa nazione chiede azione, e azione immediata.

Il nostro primo grandissimo compito è di porre la gente al lavoro. Questo non è un problema insolubile se lo fronteggeremo con saggezza e con coraggio.

E può essere risolto in parte col reclutamento diretto da parte del governo stesso, considerando il problema alla stessa stregua di una emergenza bellica, ma nello stesso tempo realizzando, attraverso questo impiego, progetti grandemente necessari per stimolare e riorganizzare l'uso delle nostre risorse naturali.

Dobbiamo francamente riconoscere, inoltre, la sovrabbondanza della popolazione nei nostri centri industriali e, impegnandoci in una redistribuzione su scala nazionale, sforzarci di offrire un migliore impiego della terra per i più adatti all'attività agricola. [...]

Infine, nel nostro progetto verso la ripresa del lavoro, abbiamo bisogno di due salvaguardie contro il ritorno dei malanni del vecchio ordine: occorre una rigorosa supervisione di tutte le operazioni bancarie, dei crediti e degli investimenti; deve cessare la speculazione fatta sul danaro degli altri, e si deve provvedere una moneta adeguata ma sana.

Queste sono le linee di attacco. Solleciterò la convocazione di una sessione speciale del nuovo Congresso perché deliberi la esecuzione di provvedimenti ben dettagliati, e cercherò di ottenere aiuto immediato da parte dei vari Stati.

(M. Bendiscioli - A. Gallia, Documenti di storia contemporanea 1815-1970, Milano, Mursia, 1970, pp. 351-352)

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