Germania, 1930: un paese sull'orlo della guerra civile

La crisi economica e la crescita della disoccupazione convinsero molti dirigenti comunisti dell’imminente collasso del sistema capitalistico, prologo della rivoluzione mondiale. In Germania, la tensione era altissima e gli scontri violenti divennero ordinaria amministrazione. I comunisti, tuttavia, sottovalutarono la forza del partito nazista: anzi, a volte, concentrarono maggiormente la loro rabbia contro i socialdemocratici, piuttosto che contro i seguaci di Hitler. La vittoria elettorale della NSDAP e la concessione a Hitler dell’incarico di cancelliere colse la sinistra tedesca impreparata e divisa, in un momento di estrema debolezza politica. Intorno al 1930, Margarete Buber Neumann era impegnata a tempo pieno come militante nel partito comunista tedesco (KPD).

Pare che Stalin e il Comintern [= l’Internazionale comunista – n.d.r.] fino alla fine del 1930 abbia contato su una imminente rivoluzione proletaria in Germania. La disoccupazione di massa che si era accompagnata all’esplosione della crisi aveva radicalizzato le masse proletarie e larghi strati della piccola borghesia. L’influsso crescente del partito comunista si era rivelato soprattutto nel corso delle elezioni per il Reichstag [= il Parlamento – n.d.r.]. Se nel 1928. 3 263 000 elettori avevano votato per le liste comuniste, delegando 54 parlamentari comunisti al Reichstag, nel settembre del 1930 i voti comunisti erano saliti a quattro milioni e mezzo, che corrispondevano a 77 deputati per il KPD. Nel corso di queste elezioni i socialdemocratici persero seicentomila voti, pur disponendo ancora di otto milioni e mezzo di suffragi.

E’ difficile stabilire se Stalin, e con lui il gruppo dirigente del Comintern, abbia veramente creduto che solo i comunisti avrebbero approfittato della crisi economica, non tenendo conto del fatto che essa avrebbe portato molta acqua anche al mulino dell’estrema destra.

Nell’analisi politica condotta in occasione del VI Congresso mondiale manca ogni accenno a questa possibilità di cui si sarebbe in ogni caso dovuto tener conto se ci si sforzava realmente di condurre una politica cosciente e responsabile in Germania. In quelle stesse elezioni del settembre 1930 i nazionalsocialisti ebbero infatti sei milioni e mezzo di suffragi, in confronto agli 800 000 della precedente consultazione elettorale. Invece di fare i conti con questa spaventosa minaccia e superare le divisioni che separavano l’SPD (il partito socialdemocratico tedesco) dal KPD, i comunisti continuarono a vedere nei socialdemocratici il nemico principale. Per accrescere l’odio degli operai comunisti contro l’SPD, i suoi seguaci vennero chiamati socialfascisti, una definizione che, oltre a equipararli ai fascisti, conteneva un’accusa ancora più distruttiva, quella del tradimento.

I comunisti condussero dunque una guerra su due fronti, da un lato contro i socialdemocratici e dall’altro contro i nazisti. Dopo il 1929, quando il partito nazionalsocialista incominciò a ingrossarsi a ritmo vertiginoso, gli scontri con i suoi militanti si fecero sempre più aspri. Come abbiamo già detto, Hein Neumann [dirigente comunista tedesco, compagno dell’autrice – n.d.r.] aveva forgiato la parola d’ordine: <<Picchiate i fascisti dove li incontrate>>, sostenendo che ai metodi terroristici dei fascisti bisognava rispondere con la violenza. A quell’epoca in Germania non passava un giorno senza che ci fosse un assassinio politico. I nazisti uccidevano i loro avversari politici nel corso di riunioni, di manifestazioni o, più semplicemente, in imboscate. C’era una situazione che si può definire di guerra civile latente.

Il nervosismo con cui i comunisti reagivano ai loro avversari – i loro metodi non avevano nulla a che fare con una effettiva strategia politica – rivelava chiaramente che il KPD era stato colto di sorpresa dallo sviluppo impetuoso del movimento nazionalsocialista. Dopo il VI Congresso mondiale, il gruppo dirigente del partito comunista tedesco si era cullato nell’illusione che la radicalizzazione delle masse sarebbe andata necessariamente a vantaggio dell’estrema sinistra. Una delle maggiori debolezze della direzione comunista è stata la continua sopravvalutazione della sua reale influenza. [...] Ogni sintomo, per quanto casuale e occasionale esso fosse, veniva immediatamente interpretato in chiave assolutamente favorevole al partito. La dialettica marxista in quel periodo festeggiava i suoi trionfi. Ciò a cui oggi ci hanno abituato le pratiche correnti dei paesi dell’est, aveva incominciato a operare già allora. Non solo ci si atteneva ciecamente alla massima <<buono è ciò che ci serve>>, ma una sconfitta naturalmente non era una sconfitta, si riusciva sempre a darne un’interpretazione che la trasformava in vittoria. Le elezioni politiche del 1930 avevano tutta l’apparenza di essere una vittoria del partito comunista poiché avevano portato a un considerevole aumento dei suoi mandati. Se però quel risultato veniva esaminato in rapporto alla situazione complessiva, ci si rendeva conto che si trattava di una sconfitta: la classe operaia nel suo complesso era stata sconfitta. Il balzo dei voti nazionalsocialisti da 800 000 a sei milioni e mezzo rappresentava  un colpo durissimo sia per i socialdemocratici sia per i comunisti. Ma la Rote Fanhe [Bandiera Rossa, il giornale del KPD – n.d.r.] cantò vittoria e presentò il KPD come vero e unico vincitore della consultazione elettorale. [...]

Fino alla fine del 1930 il Comintern aveva approvato la linea sostenuta da Neumann nella lotta contro i nazisti. Ma poi si produsse una svolta. Si incominciò a criticarla come <<politica di massa errata e settaria>> e si affermò che la lotta fisica contro i nazionalsocialisti era una deviazione dai principi. Invece di sottoporre i metodi della lotta antinazista a una revisione certamente necessaria, per ragioni inspiegabili il Comintern parve d’un tratto non essere più deciso a continuare con tutti i mezzi la battaglia intrapresa contro i nazisti. Nell’ora del grande pericolo la direzione moscovita dell’Internazionale comunista spostò invece il fuoco sul nemico principale in Germania, sul socialfascismo, sull’SPD.

Alla lotta difensiva antifascista, decretò il Comintern, spettava solo il secondo posto; ma non si doveva più condurla con i metodi seguiti sino ad allora, i fascisti dovevano essere battuti con armi intellettuali. Se si tiene conto della situazione esistente a quel tempo e ci si sovviene della mentalità dell’avversario, questa pretesa appare addirittura grottesca. [...] Verso la fine degli anni venti i comizi degenerarono sempre più spesso in rissa; nell’ultimo periodo della Repubblica di Weimar, la rissa era diventata una delle forme basilari della lotta politica. Sempre più spesso non si lasciò aprir bocca agli avversari del proprio partito, li si costringeva a sgomberare il campo a botte, nel pieno senso della parola. Ma c’erano anche dei metodi che permettevano di far fallire tutta un’assemblea, ancor prima che l’oratore avesse avuto il tempo di prendere la parola.

Ciò spinse i vari partiti a servirsi di un servizio d’ordine formato da elementi delle loro formazioni paramilitari: il Roter Frontkämpferbund dei comunisti, il Reichsbanner dei socialdemocratici, lo Stahlhelm del vecchio partito nazionalista e gli SA, che in seguito raggiunsero una triste notorietà, dei nazionalsocialisti. Se i comunisti intervenivano alle manifestazioni, ai comizi nazisti, lo facevano soltanto per disturbare l’avversario con interruzioni di ogni sorta o con mezzi più brutali. La discussione era ormai del tutto impossibile.

Quando nel 1931 Hein Neumann si dichiarò disposto a prendere la parola nel corso di una manifestazione indetta dal partito nazista a Berlino – avrebbe dovuto svolgersi un contraddittorio tra lui e Goebbels – ciò avvenne, se ben ricordo, dopo che il Comintern ebbe deciso che i comunisti tedeschi dovevano tentare di affrontare i nazisti con armi ideali.   I nazisti odiavano Neumann in modo del tutto particolare a causa del suo violento impegno antifascista. [...] Goebbels non aveva alcuna intenzione di discutere con il comunista, era invece deciso a farlo cadere interrompendolo continuamente con domande provocatorie. Pretese da Neumann che dicesse se continuava a sostenere la sua parola d’ordine: <<Picchiate i fascisti dove li incontrate!>>. Il <<Sì!>> di Neumann fu seguito da un uragano di insulti e di minacce, di <<Crepa Giuda!>>, <<Ammazzatelo!>>, che sommersero tutta la sua successiva argomentazione.

(M. Buber-Neumann, Da Potsdam a Mosca, Milano, Il Saggiatore, 1966, pp. 288-291 e 294-296. Traduzione di G. Backaus)

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