Le conclusioni storiografiche di M. Ferrari Zumbini

Al termine di una monumentale indagine sull’antisemitismo tedesco negli anni 1871-1914, lo storico italiano M. Ferrari Zumbini conclude sostenendo che le posizioni degli antisemiti radicali come Theodor Fritsch erano assolutamente minoritarie. Si diffonderanno a livello di massa solo negli anni Trenta, dopo l’avvento al potere di Hitler.

Negli ultimi anni prima della guerra [= nel periodo 1910-1914 – n.d.r.], la prima generazione dell’antisemitismo organizzato prende atto del fallimento elettorale, segnato tra l’altro anche dalla scomparsa dei politici più esperti: nel 1910 muore Zimmermann, nel 1911 muore Liebermann von Sonnenberg. L’unico ancora attivo è proprio Fritsch, che più volte interviene riconoscendo la sconfitta. Nel febbraio del 1911 la sua rivista pubblica ad esempio un articolo intitolato esplicitamente L’arretramento dell’antisemitismo. La conferma definitiva viene con le elezioni del 1912, che vedono il trionfo dei socialisti e l’ingresso nel Reichstag di 20 parlamentari di origini ebraiche. Con oltre 4 milioni di voti, il partito socialista è di gran lunga il primo partito tedesco e passa da 43 a 110 parlamentari, che sono circa il doppio di tutti i deputati conservatori. Queste elezioni – polemicamente definite dagli antisemiti come Judenwahlen [= elezioni giudaiche – n.d.r.] – provocano forti contraccolpi in tutti i settori politici, dall’esultanza negli ambienti ebraici sino allo sconforto in tutto il fronte antisocialista ed in particolare tra gli antisemiti. [...]

Il bilancio dell’antisemitismo nel periodo imperiale è duplice: da un lato c’è il fallimento elettorale, dall’altro c’è la penetrazione nella società. Sono aspetti complementari e contemporanei, che però proprio per questo non possono essere usati uno contro l’altro. Se è vero che il fallimento elettorale non esclude la penetrazione nella società, è anche vero che questo processo di penetrazione non è tale da annullare la sconfitta elettorale. Le meritorie ricerche di Werner Jochmann hanno spostato l’attenzione dalle vicende elettorali dell’antisemitismo alla sua penetrazione nella società. Gli importanti risultati ottenuti da questa tendenza storiografica non possono però portare sino al punto di ignorare la sconfitta elettorale per concentrarsi soltanto sulla diffusione dell’antisemitismo nella società. [...] Vedere l’intera società tedesca dell’epoca attraverso il filtro di un capillare, pervasivo e onnipresente antisemitismo, è semplicemente eccessivo.

Nella forma più evidente, è quanto accade nell’opera di Goldhagen, nella quale la società tedesca appare assiomaticamente antisemita per tutto il corso dell’Ottocento, l’antisemitismo <<toccava tutti o quasi i settori della società>> e <<tutte le istituzioni sociali continuavano a recitare la litania antisemita>>, dal che si deduce che  i tedeschi erano fondamentalmente antisemiti.

La necessaria ricerca delle origini dell’Olocausto può favorire la tendenza a ricostruire in modo eccessivamente lineare e diretto un percorso che è accidentato, costellato di svolte improvvise e imprevedibili e che, in ogni caso, presuppone la soluzione complessi problemi di definizione, di metodo e di documentazione. [...]

I tanti fallimenti elettorali non sono un incidente di percorso sulla via maestra di una graduale, costante, inarrestabile penetrazione dell’antisemitismo nella società tedesca. La sensazione di fallimento diffusa tra gli antisemiti negli anni immediatamente precedenti alla guerra non è soltanto il lamento di chi sperava troppo e troppo presto, ma anche la realistica constatazione di una sconfitta. E così non è soltanto un’unica, grande illusione il convincimento di gran parte dell’ebraismo tedesco dell’epoca, che spesso avverte le difficoltà e i pericoli, ma li inserisce e li valuta in un quadro complessivo che presenta molti altri elementi di segno opposto e di efficacia ben maggiore. Lo stato autoritario d’anteguerra – che è ancora in grado di limitare l’azione dei movimenti di massa e comunque ogni slittamento verso azioni violente – non è l’ultimo, unico diaframma che si interpone tra una minoranza continuamente minacciata ed una popolazione di oltre 67 milioni di abitanti che attende o addirittura prepara la resa dei conti con il nemico interno. [...]

L’antisemitismo del periodo imperiale non è certo un fenomeno superficiale o transitorio, ma per spiegare l’avvento di Hitler non c’è bisogno di immettere nella società tedesca d’anteguerra più antisemitismo di quello realmente presente. Semmai, sarebbe auspicabile che la ricerca storica sulla diffusione dell’antisemitismo nella società tedesca approfondisse maggiormente il periodo della Repubblica di Weimar, in particolare con l’analisi delle strategie, dei percorsi (diretti e indiretti) e dei modelli usati dall’antisemitismo (non solo nazista) e della loro effettiva recezione nella società tedesca del dopoguerra>>

(M. Ferrari Zumbini, Le radici del male. L’antisemitismo in Germania da Bismarck a Hitler, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 843. 887-888)

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