Le conclusioni storiografiche di Ian Kershaw

Lo storico inglese Ian Kershaw è considerato il massimo storico vivente del nazismo. In particolare, la sua imponente biografia di Hitler è un testo ricchissimo di informazioni e di stimoli, per chiunque voglia approfondire il Terzo Reich, il suo fondatore, la sua ideologia. Secondo Kershaw, che il nocciolo più autentico della dottrina nazista fosse l’antisemitismo emerse con gradualità. Molti tedeschi guardarono a Hitler come ad un grande leader nazionale, e solo con il passar del tempo ne assimilarono le dottrine più radicali, fino a trasformarsi in assassini.

Sappiamo ben poco, e in modo non sistematico, delle motivazioni ideologiche della massa dei membri del movimento nazista (che nel 1923 si aggirava intorno alle 55 000 persone) prima del putsch [= il fallito colpo di Stato, tentato da Hitler a Monaco di Baviera il 9 novembre 1923 – n.d.r.]. Poiché l’antisemitismo era una caratteristica importante dell’immagine pubblica del partito e del suo leader, che molti dovevano aver sentito parlare di persona nelle birrerie di Monaco, sembra certo che all’epoca la questione ebraica dovette rappresentare un fattore motivazionale di primissimo ordine per le reclute del movimento, che spesso arrivavano alla NSDAP dopo aver militato in altre organizzazioni antisemite o in gruppi völkisch [= movimenti estremisti nazional-patriottici, convinti della superiorità del popolo tedesco su tutti gli altri – n.d.r.]. L’impressione generale che si ricava da molti studi sui primi movimenti nazisti conferma l’idea che con ogni probabilità quanti avevano aderito al partito fossero animati da forti sentimenti antisemiti.

E’ improbabile che l’antisemitismo costituisse una spinta motivazionale altrettanto potente per quanti si iscrissero al partito nella fase di massa dopo il 1929-30. Una caratteristica importante del materiale Abel [ nel 1936, il sociologo Theodore Abel, della Columbia University, desideroso di conoscere le ragioni che avevano spinto i militanti della prima ora ad avvicinarsi alla NSDAP, bandì un sondaggio intitolato Perché sono entratonel Partito nazionalsocialista prima del 1933. Risposero circa 600 persone, tra cui 33 donne – n.d.r.] – e più della metà del campione si riferisce a membri che erano entrati nel partito prima del suo decollo nel 1930 – è che persino tra i vecchi combattenti del movimento [...] solo un ottavo considerava l’antisemitismo la questione più rilevante, mentre la fascia di quanti vengono definiti antisemiti fortemente caratterizzati in senso ideologico comprende soltanto l’8,5 per cento del campione totale. [...]

Le cifre sono comunque sufficientemente chiare e fanno pensare che fossero elementi diversi dall’antisemitismo quelli che caratterizzavano l’immagine del partito nazista agli occhi di quanti vi aderirono prima del 1933. Se accettiamo il fatto che Hitler era considerato da molti, se non da tutti, come l’incarnazione stessa del partito, sembrerebbe che, per la gran parte dei nuovi iscritti al movimento nazista durante l’ascesa al potere, il suo indubbio antisemitismo radicale costituisse una componente secondaria piuttosto che primaria della sua immagine e del suo fascino.

In mancanza di moderni sondaggi d’opinione, la motivazione di quanti votarono per il partito nazista può solo essere ipotizzata. Ma se estendiamo le considerazioni appena formulate circa le motivazioni dai vecchi combattenti del partito a un elettorato più ampio, possiamo concludere che qui – e forse in misura ancora maggiore – l’immagine di Hitler non era caratterizzata dalla sua ossessione per la questione ebraica. Questa inferenza trova un suo fondamento nel paragone tra il contenuto dei discorsi di Hitler – significativi del suo proporsi – all’inizio degli anni Trenta, quando il partito stava ottenendo un enorme successo elettorale, e i primi anni venti, quando era soltanto un gruppo völkisch del tutto marginale. L’analisi della propaganda elettorale prima della votazione dirompente del 1930 ha chiarito che gli attacchi agli ebrei erano un tema che faceva da sfondo più che un tema portante, e che i discorsi di Hitler cercavano di non sfiorare la questione ebraica, soprattutto quando il pubblico era di estrazione medio-alta.

Nel 1932, quando Hitler era in corsa per la carica di presidente del Reich e il movimento nazista stava ottenendo l’appoggio di più di un terzo della popolazione, la questione ebraica caratterizzò assai poco i comizi di Hitler. Gli ebrei e la questione ebraica non furono menzionati in quanto tali nell’esortazione di Capodanno al suo partito, agli inizi del 1932, né nel famigerato discorso al Düsseldorfer Industrieklub tenuto nel mese di gennaio, né nell’Appello alla nazione che fu venduto sotto forma di disco a luglio e che rappresentava un esempio tipico dei suoi discorsi elettorali nella prima metà dell’anno. I bersagli principali erano chiaramente il marxismo e il sistema di Weimar, e il messaggio centrale era che solo lui e il suo movimento offrivano la speranza di salvarsi da entrambi e dai disastri che essi avevano causato alla Germania. Per Hitler, ovviamente, e per alcuni dei suoi più fanatici seguaci di antica data, questi mali erano riducibili esclusivamente alla questione ebraica – un dogma che all’interno del movimento nazista costituiva una premessa fondamentale. Tuttavia in quest’epoca l’immagine pubblica di Hitler non rifletteva il ruolo preminente che la questione ebraica occupava nel suo pensiero. Sebbene la sua immagine popolare incarnasse indubbiamente i diffusi pregiudizi ideologici e le  aspirazioni delle masse – antisemitismo compreso -, sembra difficile sostenere che, nel periodo in cui Hitler stava ottenendo il suo più grande successo elettorale, la questione ebraica fosse l’elemento decisivo del richiamo che esercitava sempre più sulla popolazione.

L’assenza di attacchi violenti contro gli ebrei è un altro elemento che colpisce nei discorsi pubblici di Hitler tra il 1933 e il 1934. La questione ebraica non è trattata in nessun discorso pubblico di rilievo nel periodo della conquista e del consolidamento del potere – un periodo in cui, come già abbiamo visto, la sua popolarità si diffondeva in misura esponenziale e il mito del Führer si affermava massiciamente.

(I. Kershaw, Il “mito di Hitler”. Imagine e realtà del Terzo Reich, Torino, Bollati Boringhieri, 1998, pp. 228-230. Traduzione di V. Russo)

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