Un pogrom contro gli ebrei, attuato dai polacchi durante la guerra del 1920-1921
Proprio lì, a due passi da noi, correvan le posizioni avanzate. Io vedevo i fumaioli di Zamost’e, i fuocherelli furtivi dei vicoli del suo ghetto e la torricella di vedetta con un lampione spezzato. L’umida aurora ci inondava quasi a flutti di cloroformio. Verdi razzi s’avvitavano al di sopra dell’accampamento polacco. Sfarfallavano per aria, si sparpagliavano come rose sotto la luna, e si spengevano.
Ma io sentii nel silenzio un soffio remoto di gemiti. Intorno a noi vagava il fumo di un occulto massacro.
Ammazzano qualcuno, - io dissi, chi ammazzano?
Il polacco s’arrabbia, - mi rispose il contadino, - il polacco fa strage di giudei.
Il contadino si passò il fucile dalla destra nella sinistra. La sua barba si volse di sbieco, mi guardò con affetto e mi disse:
Queste notti in avamposti son lunghe e non hanno mai fine. Ed ecco che all’uomo vien voglia di parlare
con un altr’uomo, e dove lo trovi un altr’uomo?
Il contadino volle che accendessi la mia sigaretta alla sua.
- Il giudeo ha torto dinanzi a tutti, egli disse, a quelli come noi e come voi. Ma dopo guerra ne rimarrà
un piccolissimo numero. Quanti giudei si contano al mondo?
Dieci milioni, - risposi riaggiustando il morso al cavallo.
Ne resteranno duecentomila, - gridò il contadino, e mi toccò il braccio temendo che io me ne andassi.
Ma io saltai in sella e galoppai verso la sede dello stato maggiore.
(I. Babel’, L’armata a cavallo, Torino, Einaudi, 1977, p. 106. Traduzione di R. Poggioli)