Il ricordo dei pogrom, nel diario di Isaak Babel'

Nel 1920, Isaak Babel’ venne aggregato alla Cavalleria rossa (o Konarmiia) del generale Budënny e insieme a quest’armata di cosacchi che avevano scelto di combattere per i comunisti partecipò alla campagna militare contro l’esercito polacco. Per alcuni mesi, Babel’ tenne un diario. Le pagine più amare sono dedicate alle violenze compiute dai polacchi (e, a volte, dai cosacchi stessi) contro gli ebrei. La raccolta di racconti intitolata L’armata a cavallo sarebbe nata come rielaborazione letteraria della personale esperienza vissuta dallo scrittore.

Zitomir. 3.6.20

[...] Il pogrom di Zitomir, organizzato dai polacchi, e poi, naturalmente, dai cosacchi.

Dopo la comparsa delle nostre avanguardie i polacchi sono entrati in città e ci sono rimasti per 3 giorni, pogrom di ebrei, hanno tagliato le barbe, e questa è un’abitudine, al mercato hanno preso 45 ebrei, li hanno portati al mattatoio, li hanno torturati, gli hanno tagliato la lingua, le urla si sentivano fin sulla piazza. Hanno incendiato 6 case, la casa di Konjuchovscij in piazza della cattedrale, mi guardo intorno, chi cercava di intervenire lo mitragliavano, hanno infilzato con le baionette un portinaio nelle cui braccia una madre aveva gettato il suo neonato da una finestra in fiamme, il curato ha appoggiato una scala al muro posteriore e così si sono salvati.

Comincia il sabato, [...] andiamo dallo tzaddiq [= guida spirituale di una comunità – n.d.r.]. Non ho capito il nome. Un quadro per me sconvolgente, sebbene sia assolutamente evidente l’agonia e la completa decadenza. Ecco lo tzaddiq, una figura esile, dalle spalle larghe. Il figlio, un ragazzo dall’aspetto nobile con una misera palandrana, si vedono delle stanze, piccolo-borghesi ma spaziose. Tutto in ordine, la moglie è una comune ebrea, si potrebbe dire perfino di tipo moderno.

Volti di vecchi ebrei.

In un angolo chiacchiere sul carovita.

Mi confondo con il libro di preghiere. Podol’skij mi corregge.

Invece di una candela un lucignolo.

Mi sento felice. Volti enormi, nasi adunchi, nere barbe con fili d’argento, rifletto su molte cose, cadaveri. Il volto dello tzaddiq con il pince-nez nichelato.

<<Di dove siete, giovanotto?>>

<<Di Odessa.>>

<<E come si vive là?>>

<<Si vive.>>

<<Qui invece è terribile.>>

Me ne vado sconvolto.

23.7.20 A Verba

[...] Dorma tre ore. Poi parto per Dubno. Viaggio con Priscëpa, una mia nuova conoscenza, caffettano, cappuccio bianco, un comunista analfabeta che mi porta da Zenja. Il marito [...] se ne va in giro su un cavalluccio per i villaggi comprando prodotti dai contadini. La moglie è una giovane ebrea ben pasciuta, languida, furba, sensuale, è sposata da cinque mesi, non ama il marito, e così, tanto per scherzare, fa la civetta con Priscëpa. Il centro dell’attenzione passa su di me [...] – mi scruta perbene, chiede come mi chiamo, non mi stacca gli occhi di dosso, beviamo il te, mi trovo in una situazione idiota, me ne sto lì zitto, indolente, gentile, ringrazio a ogni istante. Ho davanti agli occhi la vita di una famiglia ebrea, arriva la madre, poi delle ragazze, Priscëpa fa il cascamorto.

Dubno è passata più volte di mano in mano. Sembra che i nostri non l’abbiano saccheggiata. E di nuovo tutti sono in apprensione, di nuovo un’umiliazione senza fine, e l’odio per i polacchi che strappavano loro la barba. Il marito: ci sarà la libertà di commerciare, comprare qualcosa per rivenderla subito, senza speculare? Io dico: ci sarà, tutto va per il meglio – è il mio solito sistema – in Russia si fanno miracoli, treni espressi, alimenti gratuiti per i bambini, teatri, l’internazionale. Loro mi ascoltano deliziati e increduli. Io penso: l’avrete il vostro cielo pieno di diamanti, tutto verrà rovesciato come un guanto, voi stessi andrete a gambe all’aria per l’ennesima volta, e provo una gran pena.

Le sinagoghe di Dubno. Tutto è stato distrutto. Sono rimasti due piccoli ingressi, l’odore dei secoli, due piccole stanzette, tutto è pieno di ricordi, vicine quattro sinagoghe, più in là il pascolo, i campi e il sole che tramonta. Le sinagoghe sono piccoli, tozzi edifici verdi e azzurri, c’è quella chassidica [il chassidismo era una delle correnti dell’ebraismo religioso polacco – n.d.r.], all’interno nulla di architettonicamente interessante. Entro nella chassidica. E’ venerdì. Che figurette deformi, che volti estenuati, alla mia immaginazione risorge tutto ciò ch’è stato in 300 anni, dei vecchietti corrono qua e là per la sinagoga, non si sentono lamenti, tutti, chissà perché, camminano da un angolo all’altro, si prega nel modo più disinvolto. E’ probabile che qui si siano raccolti tutti gli ebrei dall’aspetto più repellente di Dubno. Io prego, o più esattamente quasi prego [...]. Una tranquilla sera nella sinagoga, quale irresistibile influenza ha tutto questo su di me, quattro piccole sinagoghe una accanto all’altra. Religione? All’interno non c’è nessun ornamento, tutto è bianco e liscio fino all’ascetismo, tutto è incorporeo, esangue in misura addirittura mostruosa, per poter cogliere tutto ciò bisogna avere un’anima di ebreo. Ma in cosa consiste l’anima? Possibile che proprio nel nostro secolo tutto questo vada in rovina?

(I. Babel, Tutte le opere, Milano, Mondadori, 2006, pp. 1061-1062 e 1095-1096. Traduzione di G. Pacini. )

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