Le riflessioni di un ebreo tedesco

Nel 1933, Viktor Klemperer era un prestigioso docente di letteratura francese a Dresda. Avendo sposato una donna ariana, durante la guerra non venne deportato, ma subì comunque vari provvedimenti restrittivi e numerose angherie, negli anni del Terzo Reich. I suoi diari sono una testimonianza insostituibile, per comprendere dall’interno i sentimenti degli ebrei tedeschi, molti dei quali si erano pienamente integrati nella società della Germania imperiale e in quella della Repubblica di Weimar. Il passo che riportiamo fu scritto nel gennaio 1939. Malgrado l’inasprirsi delle misure naziste, Klemperer continuava a sentirsi tedesco e a non condividere gli ideali dei sionisti.

Non esiste né in Germania né nell’Europa occidentale una questione ebraica. Chi la riconosce non fa che accettare o confermare la falsa tesi dell’NSDAP mettendosi al suo servizio. Fino al 1933 e per almeno un secolo gli ebrei tedeschi sono stati dei tedeschi a tutti gli effetti e nient’altro. A riprova: le migliaia e migliaia di ebrei per metà, per un quarto o i discendenti di ebrei, tutti costoro stanno a dimostrare che la coesistenza e la collaborazione avvenivano senza attriti in ogni ambito della vita tedesca. L’antisemitismo, che è sempre stato presente, non è assolutamente una controprova. Infatti l’estraneità tra gli ebrei e gli ariani non era neppure paragonabile, per esempio, a quella tra cattolici e protestanti, o tra i datori di lavoro e i lavoratori, o tra la Prussia orientale e la Baviera meridionale, o tra i renani e i berlinesi. Gli ebrei tedeschi erano parte del popolo tedesco così come gli ebrei francesi erano parte del popolo francese ecc. Occupavano il proprio posto all’interno della vita tedesca senza mai essere di peso all’intera comunità. Il loro posto era solo in minima parte tra gli operai e ancor meno tra i contadini. Erano e rimangono (anche se ora non vorrebbero più esserlo) tedeschi, nella grande maggioranza dei casi intellettuali tedeschi e gente colta. Se ora li si vuole espatriare in massa per trapiantarli nelle attività agricole, l’esperimento non può che fallire e suscitare inquietudine ovunque. Perché ovunque continueranno a essere tedeschi e intellettuali. Esiste una sola soluzione della questione ebraica per la Germania e per l’Europa occidentale: la messa fuori gioco di coloro che l’hanno inventata.

Va considerato separatamente il problema degli ebrei orientali, che comunque non ritengo sia una questione specificamente ebraica. Perché è da tempo ormai che la gente troppo povera o assetata di cultura o entrambe le cose si riversa dall’est sui paesi occidentali formando un substrato dal quale nascono delle forze che tendono verso l’alto. Non danneggiano nessun popolo, poiché la parola völkisch [nazionale, razziale], nel senso della purezza della razza, è un concetto zoologico, ed è un concetto al quale non corrisponde ormai nessuna realtà, o comunque gli corrisponde una realtà più vaga di quella che si può attribuire all’antica netta suddivisione tra le sfere dell’uomo e della femmina. Tutta la questione sionista, considerata in quanto tale o in senso religioso, è un affare di settarismi cui non può essere attribuito alcun significato generale, è qualcosa di molto privato e di retrogrado, come l’antico paesino olandese vicino ad Amsterdam. Mi sembrerebbe addirittura una follia se ora in Rhodesia o altrove dovessero nascere degli Stati specificamente ebraici. Lasciamo che i nazisti ci facciano retrocedere di millenni. Gli ebrei tedeschi compiranno un crimine – ovviamente verranno concesse loro le attenuanti – se si lasceranno trascinare in questo gioco.

(V. Klemperer, Tesimoniare fino all’ultimo. Diari 1933-1945, Milano, Mondadori, 2000, p. 310. Traduzione di A. Ruchat e P. Quadrelli)

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