Quale accoglienza per i minori fuori famiglia?

16.12.2013

Quale accoglienza per i minori fuori famiglia?

Chi è e cosa fa l'educatore di comunità? Quali difficoltà incontra? Come interagisce con il contesto di riferimento? Quali approcci mette in campo? Dove inizia e dove finisce il suo lavoro? Cosa significa "accogliere"?

Se ne è parlato giovedì 12 dicembre presso la sede della Provincia di Parma, in occasione della giornata di chiusura del corso per “Educatori di comunità”, promosso dalle Province di Parma, Modena, Piacenza e Reggio Emilia in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna, in attuazione di quanto previsto dalla direttiva 1904/2011 in materia di affidamento familiare, accoglienza in comunità e sostegno alle responsabilità familiari.

Quello dell’educatore di comunità, ha specificato Rossella Vecchi dell’ufficio del Garante, è un lavoro ad alta complessità, che mette contemporaneamente in campo attori diversi (la famiglia di origine, i servizi sociali e sanitari, il minore stesso), e con un compito molto delicato: offrire a minori in difficoltà percorsi educativi personalizzati e di qualità, capaci di soddisfarne i bisogni di sostegno, tutela, riparazione e accompagnamento. Nella quotidianità della vita lavorativa, l’educatore si trova a fare i conti con ragazzi spesso arrabbiati e conflittuali, a volte violenti e incapaci di dare un senso alla loro presenza in comunità. Una funzione tutt’altro che semplice in considerazione soprattutto del numero di minori coinvolti.

In Emilia-Romagna erano 3427 (dato al 31 dicembre 2011) i ragazzi ospiti di comunità educative. Di questi, 1814 gli ospiti di strutture residenziali, 1265 i minori in affidamento etero familiare e parentale, 336 gli stranieri non accompagnati. Il 65% dei minori collocati in comunità viene da nuclei familiari gravemente problematici, il 15% è vittima di violenza, l’11% soffre di disagio relazione, il 4% di gravi patologie psico-fisiche. Trecentoventidue le comunità per minori in regione, il 40% sono Case famiglia, il 25% comunità educative residenziali. Solo 6 le strutture di tipo educativo-integrato, cioè le strutture che svolgono una funzione riparativa, di sostegno e recupero di minori con forte disagio e adolescenti con disturbi psico-patologici.

Forti le criticità che emergono dalle segnalazioni portate all’attenzione del Garante: a dispetto di quanto prevede la legge 149/2001, il numero degli inserimenti in comunità in regione si mantiene mediamente superiore all’affido. Non è tutto. Al ridotto numero di comunità specializzate consegue spesso il collocamento di minori con gravi psicopatologie in comunità fuori regione o in strutture per adulti. Vi è la necessità di verificare e rafforzare, come recentemente sottolineato dal Garante in una raccomandazione ai Comuni e alle Asl, il sistema di vigilanza. Va inoltre migliorato lo scambio e il confronto tra servizi, tutori e comunità per verificare lo stato di attuazione del Progetto quadro e del PEI, e per monitorare lo stato di benessere del bambino e dell’adolescente,  evitando “processi di delega” troppo ampi alla comunità accogliente. Altre criticità riguardano l’insufficienza di posti per minori stranieri, i casi di presunti maltrattamenti, i dubbi sulla idoneità degli educatori.

In questo quadro, la formazione continua degli educatori di comunità assume un ruolo chiave, come pure la capacità delle istituzioni di lavorare insieme, mettendo in campo le migliori risorse, per aumentare il livello di professionalità degli operatori e la capacità di risposta ai bisogni. Quello di Parma, ha concluso Vecchi, è un buon esempio di come istituzioni diverse possano fare squadra per far crescere i servizi nel superiore interesse del minore e nella consapevolezza che la comunità è importante per dare protezione e riparo in una situazione di emergenza, ma che l’obiettivo resta quello di consentire il rientro in famiglia.

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