L'affidamento al servizio sociale secondo gli operatori

30.05.2014

L'affidamento al servizio sociale secondo gli operatori

Da una parte “diverse criticità”, come “la genericità dei decreti di affidamento, una notevole difficolta a modulare gli interventi accompagnata dal rischio di cronicizzazione delle situazioni e da possibili sovrapposizioni di ruoli nel servizio affidatario”, dall’altra “un sentimento diffuso degli operatori circa la necessita ed utilità dello strumento”. È stato presentato martedì 27 maggio a Roma, nell’ambito di un convegno nazionale organizzato dalla Conferenza nazionale per la garanzia dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, il report conclusivo della ricerca “L’affidamento al servizio sociale” voluta dai Garanti di Emilia-Romagna, Lazio, Veneto e Toscana.

 

L’istituto dell’affidamento dei minori al Servizio sociale, normativamente poco definito nei contenuti e nella sua applicazione operativa e suscettibile di interpretazioni anche significativamente difformi, emerge dalla ricerca in tutta la sua complessità sia in termini applicativi che di relazione tra gli attori coinvolti in primis sistema dei servizi e sistema giudiziario. Le oltre 700 interviste effettuate ad operatori del settore e l’analisi dei decreti di affidamento emessi dai Tribunali per i Minorenni delle regioni coinvolte, mettono in luce diverse criticità: la genericità dei decreti di affidamento, una notevole difficolta a modulare gli interventi accompagnata dal rischio di cronicizzazione delle situazioni e da possibili sovrapposizioni di ruoli nel servizio affidatario. Criticità comunque bilanciate da un sentimento diffuso degli operatori circa la necessita ed utilità dello strumento.

 

Il convegno ha rappresentato anche un’occasione per confrontare esperienze ed atteggiamenti diversi. Leonardo Lenti, docente dell’Università di Torino, ha portato l’esperienza piemontese dove questo tipo di istituito non è utilizzato proprio a causa dell’alta discrezionalità che lo contraddistingue: “I servizi sociali non possono svolgere al contempo un ruolo di aiuto e sostegno e un ruolo di controllo senza generare criticità”.

 

Opinione diversa quella espressa dai Garanti presenti. In particolare Luigi Fadiga, Garante regionale dell’Emilia-Romagna, favorevole all’applicazione dell’istituto là dove sia necessario, ritiene che il punto di debolezza risieda nel rapporto, spesso viziato, che si instaura tra sistema giudiziario e sistema dei servizi. Il rapporto che lega questi due attori infatti non è codificato e nel tempo si è andato via via configurando in modelli diversi: quello antagonista che come indica il termine non prevedeva spazi di collaborazione, il modello partecipativo che viceversa configurava un rapporto “personale” tra gli attori in campo, quello subalterno nel quale i servizi accettavano o subivano, o in taluni casi addirittura ricercavano, un ruolo di subalternità nei confronti del magistrato, sia esso giudice o pubblico ministero. Nelle regioni considerate dalla ricerca, ha precisato il Garante, prevale oggi il modello della delega: esso consiste nell’emettere provvedimenti giudiziari che non definiscono il procedimento ma attribuiscono ai servizi una serie di compiti molto ampia e spesso indefinita, lasciandoli arbitri senza potere di scelte che incidono profondamente sulla vita del bambino e sui poteri connessi alla responsabilità genitoriale. Appare evidente, ha concluso Fadiga, come tra welfare e giustizia sia necessaria una ridefinizione dei rapporti e proprio per tale ragione, con i colleghi di Lazio, Veneto e Toscana è stata predisposta una bozza di raccomandazione dove vengono proposte sia soluzioni pratiche di immediata applicazione ma anche sostanziali modifiche normative.

 

Proprio sulla necessità che queste ultime siano portate all’attenzione della politica si è concentrato l’intervento del Garante nazionale Vincenzo Spadafora. “E’ necessario agire su diversi, occorre una maggiore attenzione alla formazione degli operatori dei servizi perché possano diventare la leva del cambiamento fronti- ha precisato Spadafora-, ma serve anche ‘fare cultura’ all’esterno affinché certi fatti susseguenti all’applicazione dell’istituto dell’affidamento non siano strumentalizzati dagli organi di informazione ed infine è fondamentale anche ‘portare fuori il problema’ e coinvolgere le istituzioni per ottenere risposte”.

 

Per saperne di più sulla ricerca

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