Dall'Unità d'Italia alla Seconda guerra mondiale
Tra il 1814 e il 1815, anche nel territorio emiliano, il Congresso di Vienna restaurò l’antico ordine, restituendo le Legazioni (Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna) allo Stato Pontificio, Modena agli Estensi, e Parma all’ex imperatrice Maria Luigia d’Austria. Ma il malcontento si diffondeva, soprattutto tra coloro che avevano avuto un ruolo politico di rilievo nel periodo napoleonico o che avevano tratto vantaggi economici dall’apertura delle frontiere e dallo sviluppo di commerci nell’area padana e che ora venivano nuovamente penalizzati. Per esprimere questo disagio nacquero varie associazioni, più o meno segrete. L’ondata di insurrezioni che dalla Francia dilagò in molte parti d’Europa nel 1831 ebbe il suo fulcro a Modena, con Ciro Menotti: da qui il moto riecheggiò a Parma e nelle Legazioni. L’intervento delle truppe austriache ristabilì ancora una volta l’ordine, anche se a Modena e nelle Legazioni vi furono pesanti reazioni. Anche la rivoluzione del 1848 investì l’Emilia: i Ducati insorsero e, grazie al coinvolgimento popolare, costrinsero i principi alla fuga e proclamarono l’annessione al Regno di Sardegna. Mentre a Roma veniva proclamata la Repubblica, lo Stato Pontificio concesse la costituzione a Bologna, a Ferrara e alla Romagna, negando però la partecipazione alla guerra contro gli austriaci, che così ripresero il controllo. La caduta della Repubblica Romana e la ritirata di Garibaldi attraverso le Valli di Comacchio conclusero questa epica vicenda.
Nel maggio del 1859, quando le truppe alleate di Napoleone III e del re di Sardegna Vittorio Emanuele II passarono il Ticino, l’insurrezione antiaustriaca si ripetè, con il coinvolgimento del nuovo ceto borghese. I plebisciti del marzo 1860 sancirono l’annessione delle nuove otto province al Regno sardo. Le prime elezioni generali di quello che sarebbe divenuto il Regno d’Italia si ebbero nel gennaio del 1860: i più illustri patrioti e molte personalità della regione entrarono a far parte del nuovo parlamento. Tra questi, il bolognese Marco Minghetti sostenne la funzione del decentramento come necessario contrappeso all’unità delle province ed elaborò un modello di regionalismo che incontrò forti resistenze da parte della nuova classe dirigente.
Nel mezzo secolo che trascorse tra l’annessione e lo scoppio della Prima guerra mondiale, la secolare divisione del Paese fra legislazioni diverse, le situazioni economiche contrastanti e le risorgenti rivalità municipalistiche resero molto difficile l’assimilazione delle province emiliano-romagnole all’Italia unita. Nonostante ciò, il periodo fra il 1870 e il 1914 fu caratterizzato da un grande sviluppo economico, col progresso dell’agricoltura, l’inizio di grandi opere di bonifica, la formazione di industrie moderne, l’attivazione del commercio. L’Emilia e la Romagna furono teatro di una forte spinta all’associazionismo, con i mazziniani e con i socialisti guidati da Andrea Costa. Si formarono le prime cooperative agricole per affittanze collettive e le prime cooperative di braccianti. Le lotte sociali e la questione rurale furono a lungo protagoniste della cronaca politica interna: nel 1897 ci furono gli scioperi delle mondine nel Ferrarese e delle mietitrici a Molinella; nel 1901, a Bologna, si tenne il primo congresso della Federazione dei lavoratori della terra; scioperi agrari di particolare asprezza si ebbero nel 1907 e nel 1908 nelle province di Ferrara, Bologna, Parma.
Alla fine della Grande Guerra, in Emilia-Romagna i problemi dei lavoratori della terra si ripresentarono più gravi che mai. Il tenore di vita nelle campagne, migliorato con anni di dure lotte, portò a un aumento considerevole della popolazione rurale e a un’eccedenza di manodopera, dovuta anche alla scarsa espansione industriale della regione. In tutta Italia le lotte delle organizzazioni socialiste ripresero forza nelle città e nelle campagne, anche sull’onda della rivoluzione russa: scioperi e agitazioni coinvolsero milioni di operai, contadini e disoccupati, con l’Emilia all’avanguardia. E proprio qui la reazione dei proprietari agrari fu più violenta: a Bologna l’attacco a palazzo d’Accursio del 21 novembre 1920 diede inizio a un crescendo di violenze, aggressioni e distruzioni a opera delle squadre fasciste da questi sovvenzionate. Migliaia di lavoratori emiliani, per sfuggire alle persecuzioni, dovettero espatriare, animando in molti casi, anche dall’estero, la lotta contro la dittatura di Mussolini. Fra il 1936 e il 1939 dai comuni dell’Emilia accorsero in Spagna e combatterono contro il franchismo numerosi volontari.
Ma nuove vicende belliche, di una asprezza non più conosciuta fin dal lontano Medioevo, raggiunsero la regione negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale. Dalla fine di luglio del 1943 le diverse anime dell’antifascismo emiliano-romagnolo si impegnarono sempre più intensamente nelle azioni di disturbo e di resistenza contro l’esercito occupante nazista. In quel frangente seppero collaborare forze sociali e politiche diverse e il coinvolgimento di tanta parte della popolazione, sia nelle campagne sia nelle città, diede alla Resistenza quel carattere popolare che non ebbe eguali nel contesto italiano.
Risalgono all’autunno del ’43 le prime azioni di guerriglia partigiana, che si moltiplicarono nel corso dei due anni successivi lungo tutta la dorsale appenninica tagliata dalla Linea Gotica, allestita dai tedeschi lungo più di 300 chilometri da Rimini a La Spezia. La repressione tedesca colpì con ferocia partigiani, popolazione civile e clero locale per l’appoggio che davano alla Resistenza: 3.500 furono i civili fucilati o massacrati nella regione, 6.000 i partigiani caduti. Una ferita di cui la regione intera porta ancora i segni e che in molti luoghi non si è ancora rimarginata, come nel caso delle stragi di donne, anziani e bambini compiute dalle SS nella Valle del Reno.
Gli alleati entrarono a Rimini nel settembre del ’44 e in novembre a Ravenna. Dopo la lunga sospensione invernale dell’avanzata, in aprile gli alleati diedero inizio all’offensiva finale, iniziando lo sfondamento di ciò che restava della Linea Gotica, in direzione di Bologna. L’insurrezione nelle città costrinse alla fuga i fascisti, abbandonati dai tedeschi. Tra il 14 e il 28 di aprile 1945 furono liberate Imola, Bologna, Modena, Ferrara, Reggio Emilia, Parma e Piacenza: in due settimane il fronte nazifascista cedette dal Senio al Po. Aveva così inizio una nuova fase della storia dell’Emilia-Romagna: quella del consolidamento, della difesa e dello sviluppo della democrazia. Molte altre lotte seguirono, nel contrasto profondo tra rinnovamento e conservazione, mantenendo a lungo vitali le idee della Resistenza.
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Documenti scaricabili:
- Dalla rivoluzione francese al fascismo (MS-Word, 71 kB)
Aldo Berselli, pagg 90-102 "L'Emilia-Romagna" Teti editore - La Resistenza (MS-Word, 138 kB)
Luciano Bergonzini, pagg. 103-130 "L'Emilia-Romagna" Teti Editore - Immagini dalla Seconda Guerra Mondiale (pdf, 1,20 Mb)
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