La Giustizia minorile

14.12.2012

La Giustizia minorile

Descrivere oggi la giustizia minorile è difficile, perché sono in corso modificazioni significative, e altre ancora più profonde sono in arrivo.

Il Garante per l’infanzia e l’adolescenza Luigi Fadiga, ex presidente del Tribunale per i minorenni di Roma e della Sezione per i minorenni di quella Corte d'appello, ci offre un excursus storico sulla situazione della giustizia minorile in Italia dalla sua nasciata, il 1934, all'ultima legge sull'equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi, approvata nel novembre 2012.

Fino ad oggi, il tribunale per i minorenni è stato il pilastro del sistema giudiziario di protezione dei diritti dei minori. Si tratta di un organo specializzato a composizione mista e paritetica di giudici professionali e di esperti dell'età evolutiva detti giudici onorari. Questi ultimi vengono nominati per un triennio dal Consiglio Superiore della Magistratura. Presso il tribunale per i minorenni ha sede un ufficio autonomo del pubblico ministero, la procura della repubblica per i minorenni. Le decisioni del tribunale per i minorenni possono essere impugnate davanti a un organo ugualmente specializzato: la sezione per i minorenni della corte di appello.

La competenza per territorio dei tribunali per i minorenni è particolarmente vasta. Essa infatti coincide col territorio di competenza della corte di appello, vale a dire in linea di massima col territorio regionale. Quella per materia comprende tutti i reati commessi dai minori degli anni diciotto; le irregolarità della condotta o del carattere di adolescenti e preadolescenti; le situazioni di abbandono e di maltrattamento; il controllo e la regolazione della potestà dei genitori; il riconoscimento del figlio naturale minorenne; il suo affidamento al genitore naturale, e altre fattispecie minori. Il tribunale per i minorenni non è competente invece per i procedimenti di separazione e divorzio, dei quali si occupa il tribunale civile ordinario.

Storicamente, la giustizia minorile italiana è nata nel lontano 1934 riprendendo un'idea risalente all'inizio del secolo e già attuata negli Stati Uniti e nei principali Paesi europei: quella di creare una magistratura apposita e specializzata per i soggetti in età evolutiva autori di reato o vittime di maltrattamenti, emarginazione ed esclusione. Dal 1934 la struttura del tribunale per i minorenni è rimasta sostanzialmente immutata, cosicché esso è ormai il più antico organo giudiziario italiano.

Le profonde trasformazioni sociali e politiche avvenute nel corso degli anni si sono ripercosse sulla giustizia minorile, ma il legislatore si è limitato a tamponare l'emergenza senza alcun disegno organico. Di conseguenza, le prassi dei tribunali per i minorenni hanno avuto un'evoluzione spontaneistica e disordinata, che è passata per diverse fasi. Da una fase iniziale dove si faceva prevalente attenzione alla delinquenza minorile si è passati negli anni Cinquanta a privilegiare un approccio pedagogico-rieducativo, che tuttavia si rivelò incapace di risposte risocializzanti e responsabilizzanti e andò in profonda crisi col sopraggiungere della contestazione giovanile e della critica alle istituzioni totali dei primissimi anni settanta.

Anche per l'influenza di quei fattori ma soprattutto per la prima riforma dell'adozione del 1967, l'attenzione dei tribunali minorili si andò rapidamente spostando e concentrando sul fenomeno del maltrattamento, dell'abbandono, della mancanza di assistenza morale e materiale. Sull'approccio del controllo sociale prevalse così quello di protezione e di prevenzione. C'erano all'epoca più di duecentomila bambini e ragazzi fuori famiglia, collocati dalla pubblica assistenza presso istituti di medie o grandi dimensioni, e la legge del 1967 e più ancora quella successiva del 1983 permise di dar loro una nuova famiglia.

Col migliorare del quadro socioeconomico e del tenore di vita delle famiglie e sotto  l'influsso della normativa europea ed internazionale, andarono tuttavia emergendo verso la fine degli anni Novanta critiche sempre più forti all'ingerenza dei giudici minorili nella vita familiare e sempre maggiori richieste di garanzie processuali. Si giunse così alla riforma del 2001, enfaticamente intitolata diritto del minore alla famiglia. Essa ampliò i diritti processuali delle parti dando maggiore spazio all'attività dei difensori e introducendo la figura del difensore d'ufficio anche nei procedimenti sulla potestà e l'abbandono. Soppresse inoltre, in attuazione del principio della terzietà del giudice, il potere dei tribunali di iniziare d'ufficio i procedimenti medesimi.

Tutto questo determinò la brusca interruzione del consolidato rapporto fra giudici minorili e servizi sociali territoriali, concentrando il potere d'iniziativa nelle mani del pubblico ministero minorile e creando così una brusca frattura tra giudici e servizi. Anche a causa della mancanza di specifici organismi di protezione del minore a livello nazionale e regionale, la legge del 2001 finiva così per dare la prevalenza (e questo era certo uno dei suoi scopi inespressi) ai diritti dei genitori e di quanti volessero divenirlo attraverso l'adozione nazionale o internazionale. La giurisprudenza dei tribunali minorili e della stessa Corte suprema ebbe il merito di evitare questo sbilanciamento attraverso interpretazioni della norma che riportavano in primo piano i diritti del figlio.

Prima ancora che quegli aspetti della riforma potessero essere sufficientemente elaborati dalla giurisprudenza, la rapida diffusione delle convivenze non matrimoniali e la legge 2006 n. 54 sull'affidamento condiviso portarono ai tribunali per i minorenni il carico aggiuntivo della competenza sugli aspetti patrimoniali dell'affidamento dei figli naturali nella separazione dei genitori non coniugati, in precedenza appartenente al tribunale civile ordinario. Si crearono così problemi interpretativi di difficile soluzione, affrontati nei tribunali minorili con approccio empirico e molto legato al contesto. Ne è derivata una forte disomogeneità di prassi, qua e là concordate con i rappresentanti dell'avvocatura locale, che contrasta con quella che dovrebbe essere l'unitarietà della procedura.

Mentre faticosamente si cercavano nuovi equilibri, facilitati dalle grandi possibilità di confronto ormai offerte dai sistemi di telecomunicazione (ad es., le mailing list e la posta elettronica), è sopraggiunta la legge sull'equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi, approvata dal Parlamento il 27 novembre 2012 e in corso di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Essa nell'art. 2 contiene una delega al governo per la specificazione in senso restrittivo della nozione di abbandono morale e materiale del figlio; e con l'art 4 toglie ai tribunali per i minorenni gran parte delle competenze attribuitegli dalla legge del 1983, fra cui il riconoscimento dei figli naturali e la decisione sul loro affidamento ai genitori non coniugati. Queste competenze vengono attribuite al tribunale civile ordinario, arricchito della competenza sulla potestà genitoriale in corso di separazione coniugale o di fatto e di divorzio. Rimarranno alla giustizia minorile i procedimenti penali per reati commessi da minori degli anni diciotto; i procedimenti cosiddetti rieducativi; i procedimenti civili sull'adozione e sulla potestà, questi ultimi però limitati ai casi in cui non penda giudizio di separazione o divorzio davanti al tribunale civile ordinario.

Il vetusto sistema della giustizia minorile italiana, più volte puntellato ma sostanzialmente lasciato a sé stesso per più di mezzo secolo, è ora a rischio di crollo. E' un rischio particolarmente elevato, perché sono molti coloro che ne invocano la soppressione, con argomenti o pretesti che vanno dalla ricerca di una riduzione della spesa a quella di una maggiore efficienza o di maggiori garanzie, ma trascurando del tutto esigenze fondamentali come la specializzazione del giudice. Tutto ciò ancora una volta ignorando – volutamente o colpevolmente – i numerosi e recenti documenti internazionali come le “Linee guida per una giustizia a misura di minore” approvato il 17 novembre 2010 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa o come la Guida dell' WHO sulla prevenzione del maltrattamento del 2006. Ma, prima ancora, ignorando la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo approvata il 20 novembre 1989, di cui si è appena svolta a livello nazionale e regionale, nel completo disinteresse dei media, la Giornata celebrativa.

 

Bologna, dicembre 2012

Luigi Fadiga

Garante per l'infanzia e l'adolescenza

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