Editoriale n.3 - Pari opportunità e luoghi chiusi

albero della vita

Costruire legami per sconfiggere la paura

Quattro buone pratiche commentate da Vincenza Pellegrino, sociologa dell'Università di Parma

A mio avviso, questo numero della newsletter è particolarmente interessante. Sfida il modo con cui immaginiamo solitamente gli spazi dentro i quali la società custodisce l’errore (la devianza) e il disagio sociale, tanto per proteggere chi sta all’esterno quanto per governare il dolore di chi sta all’interno.

Carceri, comunità di residenza obbligatoria, centri residenziali che ospitano situazioni problematiche: le attività di volontariato che vengono presentate nella newsletter interrogano innanzi tutto la permeabilità delle membrane tra il “dentro” e il “fuori”.

La domanda principale infatti è: può esserci maggior benessere o anche solo miglioramento sociale (migliore risoluzione di quei nodi, di quei conflitti che hanno generato i problemi) se il dentro e il fuori di questi spazi sociali restano separati? La risposta è no.

Da decenni si riflette sulle dinamiche degli “universi concentrazionari”: così Rousset [1] chiamava il campo di concentramento, ma la sua analisi (autobiografica) vale per tutti i luoghi dove un gruppo viene isolato e detenuto in nome dell’ordine, della maggiore tranquillità di chi vive all’esterno. Gli universi concentrazionari – proprio perché sentono di essere chiusi, di non avere sguardi estranei su di sé – producono dinamiche ricorrenti: la rabbia dei reclusi e il loro deterioramento psicologico, la rabbia dei recludenti, sempre più duri, sofferenti e disumani. Infine, vi è lì “dentro” il perpetuarsi del conflitto in termini sempre più violenti. Sono persone che porteranno anche fuori la loro rabbia.

In realtà solo l’apertura quotidiana delle porte, innanzi tutto simbolica, poi realmente praticata, l’idea che altri ci guardino e poi l’entrata di nuove persone, di sguardi nuovi su di noi e estranei a definizioni fisse o “date per sempre”, solo questo può cambiare in meglio, può dare nuovo futuro alla devianza e al conflitto sociale più in generale, sia che noi ci sentiamo le “persone che sono contenute” (i  ladri) sia che noi ci sentiamo “le persone che  contengono l’errore o il dolore” (le guardie).

Le attività di volontariato e i progetti presentati in queste newsletter premono quindi per ‘riaprire’ i luoghi di isolamento: che sia l’isolamento di chi è stato condannato dalla giustizia, che sia quello di chi vive in comunità residenziali degradate e isolate. Sono progetti di ripensamentoper un migliore sistema di giustizia sociale: qualsiasi sia la condizione di errore o disagio vissuta dai singoli, se la comunità interagisce con essi, abbiamo la possibilità di cambiare i modi  di stare in società.


[1] Il libro, ancora molto attuale rispetto alle teorie di lettura del potere, in italia è uscito con il nome L’universo concentrazionario, Baldini&Castoldi, Milano 1997. Il titolo originale era “L'univers concentrationnaire", 1965.

 

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