Le riflessioni di un ufficiale dell'esercito

In Serbia, moltissimi ebrei furono uccisi dalla Wehrmacht. Le esecuzioni iniziarono il 9 ottobre 1941, dopo che il 2 ottobre, a Topola, 21 soldati tedeschi erano stati uccisi in un agguato dei partigiani. Per rappresaglia, due giorni dopo, il generale Böhme ordinò di fucilare 2100 ebrei e zingari internati nei campi di Sabac e Belgrado. L’Oberleutnant Hans-Dietrich Walther partecipò all’azione.

E’ più facile fucilare gli Ebrei che non gli zingari. Si deve riconoscere che gli Ebrei vanno incontro alla morte con maggiore calma [sehr gefasst in den Tod gehen] – rimangono tranquilli, mentre gli Zingari urlano, sbraitano e non la smettono di agitarsi, anche quando sono già sul luogo dell’esecuzione. Certi saltano nella fossa prima che il plotone faccia fuoco e fingono di essere morti. […]

All’inizio i miei uomini non erano impressionati [nicht beeindruckt]. Ma il secondo giorno divenne chiaro che il tale o il tal altro non possedevano la resistenza richiesta per procedere a lungo nelle esecuzioni. La mia personale impressione è che, durante la fucilazione, non si prova nessun blocco psicologico [seelische Hemmungen]. Questi blocchi sopravvengono, in particolare, se dopo diversi giorni, la sera ci si riflette, quando si è soli [Diese stellen sich jedoch ein, wenn man nach Tagen abends in Ruhe darüber nachdenkt].

(R. Hilberg, La distruzione degli Ebrei d'Europa, Torino, Einaudi, 1999, p. 709. Traduzione di F. Sessi e G. Guastalla)

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