La prima descrizione di Treblinka

Vasilij Grossman arrivò a Treblinka ai primi di settembre del 1944. Il suo saggio L’inferno di Treblinka fu pubblicato per la prima volta sulla rivista russa Znamia nel novembre 1944. Nel 1945, venne ripubblicato in una versione tedesca e più tardi fu anche distribuito al processo di Norimberga. Il testo è giocato su tre registri complementari: la descrizione lirica del paesaggio serve a far risaltare la spietatezza dei crimini e dell’ideologia nazista, cui viene contrapposto l’eroismo dei difensori di Stalingrado, che hanno salvato l’indipendenza della Russia e la libertà di tutti i popoli.

A est di Varsavia, sulla riva occidentale del Bug, si estendono sabbie e paludi, intricate foreste di pini e latifoglie. Su questa terra povera, i villaggi sono rari: l’uomo evita gli stretti sentieri dove il piede affonda nel fango e la ruota sprofonda nella sabbia fino al mozzo.

In questa natura cupa, a più di sessanta chilometri da Varsavia, si trova la piccola stazione di Treblinka, lungo la linea per Siedlce, nelle vicinanze di Malkinia, nodo ferroviario delle linee provenienti da Varsavia, da Bialystok , da Siedlce e da Lomza.

Di tutti quelli che vennero condotti a Treblinka nel 1942, ben pochi, senza dubbio, avevano attraversato questi luoghi in tempo di pace, e posato lo sguardo  distratto sulla monotonia di un paesaggio fatto di pini e di sabbia, di sabbia e di pini, con qua e là, dei ciuffi di erica, un cespuglio disseccato, una stazione malinconica, uno snodo ferroviario… Forse lo sguardo annoiato del viaggiatore aveva notato una diramazione a binario unico che partiva dalla stazione per addentrarsi nel bosco, fra i pini che la serravano da entrambi i lati. Questa diramazione portava a una cava di sabbia bianca che veniva utilizzata nell’edilizia industriale e urbana.

La cava è a quattro chilometri dalla stazione, in mezzo a un terreno nudo, così arido che i contadini lo hanno abbandonato come fosse un deserto in piena foresta. A tratti la terra è coperta di muschio; qua e là si profila la sagoma di un gracile pino; di tanto in tanto, una taccola o un’upupa variopinta striano il cielo. Questi luoghi desolati erano stati scelti, con l’approvazione del Reochsführer delle SS Heinrich Himmler, per diventare un enorme carnaio, quale l’umanità non aveva mai conosciuto prima dei nostri giorni crudeli, neppure all’epoca delle barbarie primitiva. No, mai l’universo aveva visto qualcosa di così spaventoso. Qui c’era il più atroce fra i campi della morte creati dalle SS, che superava in orrore Sobibor, Maidanek, Belzec e Oswiecim [= Auschwitz, in lingua polacca – n.d.r.] […]

Dopo il 2 agosto [1943, giorno dell’insurrezione del Sonderkommando addetto alla distruzione dei cadaveri – n.d.r.] Treblinka cessò di esistere. I tedeschi incenerirono i cadaveri che ancora restavano, demolirono gli edifici in mattoni, tolsero i reticolati, bruciarono quel che restava delle baracche in legno. Fecero saltare o portarono via le installazioni, fecero sparire i forni [dettaglio inesatto: a Treblinka non c’erano forni, ma fosse comuni, come a Belzec e a Sobibor – n.d.r.], ritirarono le scavatrici, colmarono le innumerevoli fosse. Nulla rimaneva dell’edificio della stazione. Infine smontarono i binari, tolsero le traversine. Seminarono del lupino su tutta l’area del campo, e un certo Streben vi costruì una piccola casetta. Oggi questa non esiste più: anch’essa è stata bruciata.

Qual era dunque lo scopo dei tedeschi? Far sparire le tracce dei milioni di assassinî perpetrati nell’inferno di Treblinka?  Ma veramente credevano che sarebbe stato possibile? […]

Un ufficiale sovietico che porta il nastro verde della medaglia di Stalingrado registra la confessione degli assassini. La sentinella dalle labbra serrate che sta alla porta ha anch’essa la medaglia di Stalingrado; il suo viso magro, abbronzato dai venti, è grave e severo. E’ lo stesso viso della giustizia del popolo. Il simbolismo non è forse sorprendente? E’ l’esercito vittorioso a Stalingrado che è arrivato a Treblinka, vicino a Varsavia. Se Heinrich Himmler si è commosso nel febbraio del 1943, se è giunto in aereo a Treblinka, se ha dato l’ordine di costruire i forni, bruciare i cadaveri, far sparire ogni traccia, non era senza ragione. Ma fu senza risultato. I difensori di Stalingrado sono arrivati a Treblinka: la strada dal Volga alla Vistola è stata breve.

(V. Grossmann, Anni di guerra, Napoli, l’ancora, 1999, pp. 79-80 e 118-119. Traduzione di M. Bellini)

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