Vasilij Grossman, testimone e narratore della shoah

La memoria della Shoah in URSS
Polonia, 1945. La fattoria costruita dai tedeschi a Treblinka, dopo aver distrutto il campo di sterminio.Subito dopo la guerra, in URSS si impose una precisa modalità di conservare la memoria dei crimini nazisti. Le vittime ebraiche (oggetto di una precisa campagna di sterminio, specificamente indirizzata contro di loro) non vennero negate o dimenticate. Tuttavia, sui luoghi di esecuzione (Babij Jar, Ponary, Rumbula, ecc.) venne posta una serie di lapidi commemorative che non precisavano per nulla che le persone sepolte erano state uccise in quanto ebrei. Genericamente, le iscrizioni affermavano solo che in quella località erano stati eliminati dei cittadini sovietici. Pur non essendo negata la realtà dei crimini, di fatto veniva cancellata la specificità dello sterminio compiuto contro gli ebrei, che non fu considerato dai sovietici come un gruppo speciale, distinto, oggetto di un odio maggiore, e quindi vittima di un genocidio.

Questo atteggiamento del regime sovietico è accentuato da un’altra particolarità linguistica: i tedeschi non sono quasi mai chiamati nazisti; a volte, si può incontrare il termine hitleriani, ma nella maggior parte dei casi l’espressione più utilizzata è fascisti. In tal modo, il regime trasmetteva la propria concezione ideologica (e storiografica) relativa agli eventi della seconda guerra mondiale, concepita come un’aggressione della parte più brutale e sciovinista della borghesia, contro lo Stato dei lavoratori e, più in generale, contro le aspirazioni rivoluzionarie della classe operaia. Razzismo e antisemitismo (che la maggior parte degli storici, oggi, considera il nocciolo, il vero nucleo centrale della concezione del mondo hitleriana) diventavano invece, in quest’ottica, del tutto irrilevanti.

Il Libro nero

Fin dal periodo bellico, un gruppo di intellettuali ebrei russi cercò di opporsi alla cancellazione della specificità ebraica di alcuni dei più clamorosi crimini nazisti. Tra queste figure ricordiamo Il’ja Erenburg (1891-1967) e Vasilij Grossman (1905-1964), che scrivevano su Krasnaja Zvezda (Stella Rossa), il giornale ufficiale dell’Armata Rossa. Erenburg lanciò una durissima campagna di odio contro il nemico, ma nel medesimo tempo denunciò l’antisemitismo diffuso in vari settori dell’esercito sovietico e diede particolare risalto ai gesti di eroismo compiuti da soldati ebrei. Grossman invece, corrispondente da Stalingrado, mise inizialmente l’accento sul coraggio e la tenacia del soldato sovietico.

Insieme, i due intellettuali curarono il cosiddetto Libro nero, un’imponente raccolta di testimonianze sui crimini nazisti contro gli ebrei in Unione Sovietica. L’autocoscienza e la sensibilità di Grossman su questo problema si acuì progressivamente, a seguito di numerose esperienze personali molto dolorose: l’uccisione della madre, da parte dei nazisti, a Berdicev (in Ucraina), nel 1941, e la censura imposta da Stalin al Libro nero, nel 1947, quando era ormai pronto per la stampa.

Nel settembre 1944, insieme all’Armata Rossa che avanzava verso Berlino, Grossman arrivò a Treblinka, ormai irriconoscibile, in quanto i nazisti avevano distrutto tutte le strutture di sterminio e impiantato al loro posto una fattoria. Interrogando a caldo alcuni sopravvissuti e alcuni contadini che vivevano nei dintorni, Grossman offrì la prima dettagliata descrizione del campo ed un’accurata (sia pure non priva di errori) ricostruzione del meccanismo di messa a morte.

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