Le deportazioni, nel resoconto di Marek Edelman

Marek Edelmann fu uno dei capi della rivolta del ghetto di Varsavia nell’aprile 1943. Riuscì a salvarsi fuggendo attraverso la rete fognaria. Nel 1945, pubblicò un breve resoconto delle deportazioni e dell’insurrezione, intitolato Il ghetto lotta.

Al fine di verificare concretamente e senza contraddizioni possibili la sorte dei trasporti umani che lasciano il ghetto, Zygmunt Frydrych è inviato sulle loro tracce, nel settore ariano [la zona di Varsavia abitata dai tedeschi e dai polacchi – n.d.r.]. Brevissimo, il suo viaggio verso l’Est dura appena tre giorni. Appena varcato il muro [del ghetto – n.d.r.], Zygmunt entra in contatto con un ferroviere della stazione di Gdansk, che lavora sulla linea Varsavia-Malkinia. Parte con lui nella stessa direzione dei trasporti e discende a Sokolow dove la linea si divide, una diramazione conduce a Treblinka. Viene sapere da alcuni ferrovieri che tutti i giorni un treno-merci, stipato di gente proveniente da Varsavia, imbocca questo raccordo e ritorna vuoto. Nessun convoglio alimentare passa di là e la stazione di Treblinka è interdetta alla popolazione civile. Prove tangibili che le persone che vi sono condotte vengono assassinate. L’indomani, al mercato di Sokolow, Zygmunt incontra due ebrei completamente nudi, scappati da Treblinka. Essi gli descrivono in dettaglio il massacro. Da quel momento, non si può più parlare di semplice supposizione poiché i fatti sono confermati da testimoni oculari (uno degli scampati è il nostro compagno Wallach).

Al ritorno di Zygmunt viene pubblicato un secondo numero di Ojf der Wach [= In Guardia, giornale clandestino che esortava a resistere alle deportazioni – n.d.r.] con una descrizione esatta di Treblinka. Ma gli ebrei si ostinano, persino ora, a non credervi. Chiudono gli occhi, si tappano le orecchie e si difendono <<unghie e denti>> contro l’atroce verità.

I tedeschi, intanto, tentano ogni mezzo e inventano un nuovo metodo. Ad ogni volontario che si iscrive per il viaggio, promettono e distribuiscono tre chili di pane e un chilo di marmellata. L’offerta è più che sufficiente. La propaganda e la fame fanno il resto.

La prima possiede un argomento imbattibile contro le favole sulle camere a gas: <<Perché sprecherebbero del pane se intendono massacrarci>>. La fame, ancora più potente, annega tutto nell’immagine di queste tre pagnotte, dorate e croccanti. Il cammino è breve dalle case all’ Umschlagplatz. Abbiamo l’acquolina alla bocca, gli occhi dimenticano di vedere ciò che vi è in fondo alla strada. L’odore famigliare e gradevole inebria il pensiero e gli impedisce di comprendere al di là delle apparenze e di vedere le cose di solito ovvie.

Le persone vanno a centinaia all’Umschlagplatz, fanno vari giorni di fila prima di partire. Ci sono talmente tanti volontari per avere i tre chili di pane che i convogli partono ora due volte al giorno, caricando dodicimila persone, e rifiutando molta gente. […]

A metà circa del mese di agosto, quando restano ormai solo centoventimila persone nel ghetto, abbiamo l’impressione che la prima tappa della retata sia terminata. L’Umsiedlungsstab [= lo Stato Maggiore locale della deportazione, il gruppo di ufficiali che dirigeva le operazioni – n.d.r.] lascia Varsavia senza lasciare istruzioni. Ma, questa volta ancora, le speranze sono vane. Scopriamo rapidamente che i tedeschi hanno fatto solo una pausa per liquidare nel frattempo Otwock, Falenica e Miedzeszyn. L’intera equipe e tutti i ragazzi del sanatorio Medem vengono deportati. Roza Eichner muore nel martirio.

Dopo questa pausa, la razzia riprende ancor più intensamente. Per noi [= i membri dell’organizzazione di resistenza, che stava progettando la rivolta – n.d.r.] gli accerchiamenti sono sempre più pericolosi perché la popolazione è sempre meno numerosa, su un territorio sempre più ridotto. Per i tedeschi, sono sempre più complicati, perché la gente ha imparato a nascondersi. Si obbliga allora ogni poliziotto ebreo a fornire sette teste al giorno all’Umschlagplatz. I tedeschi giocano sul velluto. Nessuno fino a quel momento ha mai messo così tanto ardore come la polizia ebraica in questa razzia. Mai nessuno è stato così inflessibile verso la sua preda come questo ebreo che arresta un altro ebreo. Per avere le loro sette teste i poliziotti ebrei arrivano persino ad arrestare i medici in camice bianco (la blusa si rivenderà a peso d’oro sull’Umschlagplatz), le madri con un bimbo tra le braccia e i bambini smarriti in cerca della loro casa.

Sì, la polizia ebraica scrive da sé la sua storia. […]

Il 12 settembre, la razzia è ufficialmente terminata. Nominalmente restano 33 000 ebrei che lavorano nelle fabbriche e nelle imprese tedesche, compresi i 3000 impiegati del Consiglio Ebraico. In effetti, se si contano quelli che sono riusciti a nascondersi nelle cantine, ne restano circa 60 000. Tutti sono acquartierati presso i luoghi di lavoro. Di nuovo muri tramezzano il ghetto. Tra i settori, si estendono terre di nessuno, deserti ossessionati dallo sbattere delle finestre aperte nel silenzio mortale della strada e dall’odore dolciastro dei cadaveri all’aria aperta.

(M. Edelmann - H. Krall, Il ghetto di Varsavia. Memoria e storia dell'insurrezione, Roma, Città Nuova, pp. 50-58. Traduzione di M. Meghnagi)

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