Le deportazioni da Varsavia

Le prime azioni
Polonia, 1941. Poliziotti ebrei, nel ghetto di Varsavia. Fotografia di Joe J. Heydecker.Il 22 luglio 1942, alle 10 del mattino, il presidente del Consiglio ebraico di Varsavia (l’ingegnere Adam Czerniakóv) venne bruscamente informato dai tedeschi (più esattamente dallo Sturmbannführer Hermann Höfle) del fatto che gli ebrei del ghetto sarebbero stati deportati versoEst. Sarebbero stati esentati solo i membri del Consiglio ebraico, i poliziotti ebrei e le loro famiglie, nonché i lavoratori impegnati in aziende tedesche. Per le 16, occorreva consegnare al posto di smistamento (Umschlagplatz) il primo contingente di 6000 persone, che sarebbero state caricate sui treni. Il giorno dopo, 23 luglio, Czerniakóv si suicidò inghiottendo una capsula di cianuro.

La guida del Consiglio venne assunta da Marek Lichtenbau, che cercò di accontentare i tedeschi e di fornire ogni giorno il contingente richiesto. Pertanto, le deportazioni proseguirono indisturbate per tutto il mese d’agosto: circa 300 000 persone lasciarono Varsavia. Particolare impressione destò la partenza, il 5 agosto, dei 200 bambini dell’orfanatrofio e di tutto il personale d’assistenza, compreso il direttore dell’istituto, Janusz Korczak, pedagogista di fama internazionale.

Ai primi di settembre, in città erano rimasti solo 60 000 ebrei. Circa 33 000 erano ufficialmente schedati, cioè lavoravano per imprese tedesche; gli altri, al contrario, erano illegali, nascosti in cantine o altri rifugi più o meno ingegnosi.

Verso Treblinka

Da Varsavia, i deportati erano condotti a Treblinka, che dista dalla capitale polacca appena un centinaio di chilometri. La destinazione e la sorte di coloro che lasciavano la città divenne ben presto nota. Ciò nonostante, molte persone continuarono a rifiutare la realtà, a negare l’evidenza della volontà nazista di sterminare l’intera popolazione ebraica senza eccezioni.

Poliziotti e membri del Consiglio ebraico conoscevano perfettamente la verità, ma temevano che i nazisti, in caso di disobbedienza o di resistenza, procedessero all’immediata liquidazione di tutto il ghetto. Fino all’ultimo, vissero nell’illusione di poter salvare la propria vita, insieme a quella dei loro familiari e dei soggetti abili al lavoro.

L’atteggiamento dei membri del Consiglio ebraico e il comportamento dei poliziotti è stato severamente criticato da molti intellettuali del tempo (e, più tardi, da numerosi storici). Il più importante cronista del ghetto, Emmanuel Ringelblum, scrisse il 15 ottobre 1942: <<Non avremmo dovuto acconsentire alle deportazioni. Avremmo dovuto precipitarci nelle strade, appiccare il fuoco ovunque, abbattere il muro e scappare nella zona ariana. I tedeschi si sarebbero vendicati e la cosa ci sarebbe costata decine di migliaia di vite, ma non 300 000>>. Resta che il ghetto, nell’agosto 1942, era ancora pieno di vecchi, bambini e persone malate, troppo deboli o spaventate per prendere in considerazione un’azione di resistenza.

Approfondimenti

Azioni sul documento