La resistenza ebraica

Come pecore al macello?
Polonia, 2000. Il monumento sul luogo in cui sorgevano le camere a gas di TreblinkaNell’autunno 1942, al termine della prima grande ondata di deportazioni dalla capitale polacca (circa 254 000 persone tra il 23 luglio e il 21 settembre) il principale cronista del ghetto di Varsavia, Emmanuel Ringelblum, scrisse amaramente: <<Perché ci siamo lasciati condurre al macello come pecore? Perché il nemico ha avuto un compito così facile? Perché i carnefici non hanno avuto una sola perdita?>>. Questo giudizio severo è stato ripreso da numerosi storici (primo fra tutti Raul Hilberg), rilanciato da intellettuali prestigiosi come Bruno Bettelheim e Hanna Arendt e persino condiviso, in un primo tempo, da una parte dell’opinione pubblica israeliana, inizialmente imbarazzata a parlare della Shoah e decisamente fredda nei confronti dei superstiti.

Col passar del tempo, però, gli storici hanno raffinato il loro giudizio e scoperto numerosi episodi di resistenza tentata o messa in atto, sia nei ghetti sia nei campi.  Le organizzazioni di lotta attiva erano guidate di solito da gruppi giovanili di partiti ebraici (sionisti, socialisti, ecc.) già attivi prima della guerra. Le incontriamo in sette importanti ghetti (Bialystok, Cracovia, Czestochova, Kaunas, Minsk, Vilnius e, ovviamente, Varsavia) e in 45 ghetti minori.

A Cracovia, l’azione più audace fu l’attacco del 22 dicembre 1942 ad un locale di ritrovo denominato Cyganeria; alcuni tedeschi rimasero uccisi dalle bombe lanciate da giovani combattenti ebrei, guidati da Aaron Liebeskind e dai coniugi Szymek/Shimson e Justa Draenger. Liebeskind fu ucciso nella rappresaglia subito organizzata dai tedeschi; i coniugi Draenger, arrestati, riuscirono a evadere (29 aprile 1943) e a riprendere la loro attività clandestina. Infine, però, nell’autunno 1943 furono nuovamente catturati e uccisi.
La lotta nelle foreste

Numerosi fuggiaschi, scappati dai ghetti, cercarono di aggregarsi a gruppi partigiani polacchi o sovietici; nell’insieme, gli ebrei che fecero questa scelta raggiunsero la quota di 25-30 000 uomini. Tuttavia, l’antisemitismo diffuso in Polonia e in Ucraina rese spesso difficile la partecipazione degli israeliti alle unità combattenti organizzate su base nazionale. Pertanto, nacquero unità partigiane specificamente ebraiche, soprattutto nell’enorme foresta di Lipiczany, nella Bielorussia occidentale. A differenza dei partigiani italiani o francesi, i gruppi combattenti ebrei dovettero impegnare il nemico nel momento in cui le forze tedesche erano ancora imbattute e apparentemente invincibili; pertanto, non meraviglia che molti di questi gruppi siano stati eliminati prima della fine del 1942.

Un’interessante eccezione è fornita dalla cosiddetta unità Bielskij, una formazione clandestina nata in Bielorussia per iniziativa dei fratelli Tuvia, Asael e Zus Belskij, durante l’estate 1942. All’arrivo dell’Armata Rossa, nel 1944, il gruppo contava 1230 elementi, ma circa il 70% non erano combattenti. Tuvia Belskij – capo dell’unità – aveva infatti posto come priorità assoluta non lo scontro armato con i tedeschi, ma la salvezza dal processo di sterminio del maggior numero possibile di ebrei. <<Non abbiate fretta di morire – ripeteva Tuvia ai suoi compagni più impetuosi, che avrebbero voluto abbandonare al loro destino le persone più deboli, d’impaccio alle operazioni militari – Siamo rimasti in pochi e dobbiamo salvare più vite possibili. Salvare un ebreo è molto più importante che uccidere un tedesco>>.

Infine, va ricordato lo sfortunato gruppo di Stanislawów, diretto da Anda Luft, che operò in Ucraina nel 1943 e che, in novembre, non fu eliminato dai tedeschi, ma dai partigiani nazionalisti ucraini.

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