Violenze contro gli ebrei polacchi

La politica di reinsediamento
Ghetto di Varsavia, 1941. Un bambino. Foto di Joe HeydeckerNei confronti degli ebrei polacchi la violenza nazista si scatenò, in un primo tempo, in modo pubblico, plateale e selvaggio, secondo modalità che richiamano quelle delle SA e degli altri estremisti del partito che, negli anni Trenta, boicottarono i negozi ebraici in Germania e furono i protagonisti della notte dei cristalli. In effetti, a Lódz (nel Warthegau) – proprio il 10 novembre 1939, anniversario della Kristallnacht – le quattro principali sinagoghe della città vennero distrutte.

L'esercito, nel 1939, non può ancora essere  additato come un ingranaggio attivo e vitale del processo di genocidio; anzi, spesso, gli ufficiali e i comandi superiori deplorarono i gravi episodi di violenza antisemita, proibirono di bruciare le sinagoghe e punirono chi si rese colpevole di saccheggio o di esecuzioni sommarie. I militari, però, erano preoccupati principalmente dal carattere selvaggio, caotico, non organizzato dall'alto, di quelle azioni. L'atteggiamento dei militari, nel 1939-40, può essere messo in parallelo con la linea tenuta negli anni precedenti dai funzionari dei ministeri economici, indignati non per le violenze in sé, ma solo per le possibili conseguenze.

A livello amministrativo, si cominciò ben presto a pensare che gli ebrei della Germania (compresi quelli residenti sui territori da poco annessi al Reich) potevano essere trasferiti nel Governatorato Generale. Il primo a muoversi in tale direzione fu Adolf Eichmann, che ottenne il permesso di deportare a Nisko (nella parte meridionale del distretto di Lublino) un contingente di ebrei proveniente da Vienna, Kattowitz e alcune località della Boemia località (18-20 ottobre 1939). L’esperimento risultò fallimentare, per mancanza di mezzi e di strutture adeguate ad accogliere i nuovi venuti; alcuni di questi deportati furono infine obbligati a fuggire verso il confine russo, mentre altri vennero rimandati a casa.
I ghetti

L’idea della deportazione di massa nella regione di Lublino, però, non venne abbandonata: nell’estate 1940, 50-70 000 ebrei furono condotti in quella regione malsana e paludosa, a lavorare in condizioni terribili. Dal 1° novembre 1939, l’incarico di comandante delle SS e della polizia di Lublino fu assunto da Odilo Globocnik, che avrebbe poi svolto un ruolo importantissimo nella soluzione finale in Polonia. Intanto, la maggior parte degli ebrei polacchi fu internata in ghetti, cioè in quartieri speciali, da cui non potessero più uscire. La prima direttiva che ordinava la concentrazione degli ebrei polacchi fu emanata da Heydrich il 21 settembre 1939. Heydrich era il capo della polizia tedesca ed era l’uomo più potente in Germania, dopo Hitler e Himmler. Il progetto venne gradualmente attuato nei primi mesi del 1940. Il risultato fu la concentrazione della maggior parte degli ebrei in alcune aree, all’interno dei principali centri urbani polacchi; tali zone speciali vennero separate dal resto del territorio delle città in modo sempre più rigido: dapprima, vennero usate recinzioni di filo spinato, poi alti muri di mattoni o cemento.

L’amministrazione delle comunità recluse nei ghetti venne affidata a dei Consigli ebraici (Judenräte) appositamente costituiti. Il margine di azione dei membri di un Consiglio era praticamente nullo: in pratica, erano la pura e semplice cinghia di trasmissione, che permetteva agli ordini emanati dai nazisti di arrivare alla massa della popolazione ebraica prigioniera. I soggetti abili al lavoro si recavano ogni mattina presso una fabbrica, un’industria o un laboratorio, che a volte era situato all’interno del ghetto. All’inizio, parve che l’intenzione principale dei tedeschi fosse lo sfruttamento intensivo della manodopera ebraica.

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