La repressione della lotta partigiana come pretesto

Riflettendo al processo di Norimberga sugli eventi dell’estate 1941, un alto ufficiale delle SS – il Gruppenführer Erich von dem Bach-Zelewski – osservò che il caos e la vaghezza degli ordini impartiti dall’alto erano intenzionali. Le autorità naziste stesse erano incerte, si muovevano con estrema cautela e sondavano con molta attenzione le reazioni delle truppe, cui venivano assegnati incarichi sempre più brutali. Probabilmente, un ruolo importante nell’assuefazione progressiva alla violenza fu svolto dall’azione contro i partigiani. Equiparare gli ebrei ai partigiani permetteva di evitare qualsiasi problema di coscienza e di spingersi, ad ogni azione, più lontano, in direzione del genocidio generalizzato.

Capi supremi consci delle loro responsabilità non possono abbandonare l’esecuzione delle rappresaglie al capriccio dei singoli comandanti. L’assenza di direttive precise da parte dei vertici militari equivale a un codardo scaricabarile a danno dei sottoposti. Ma poiché è ovvio per chiunque che la mancanza di direttive ha per conseguenza il disordine delle rappresaglie, l’unica conclusione possibile è che ai più alti livelli il disordine fosse voluto.

E’ fuori di dubbio che le rappresaglie, da parte sia della Wehrmacht sia delle SS e delle unità di polizia, furono di gran lunga eccessive. Questo fatto emerse ripetutamente nelle riunioni coi generali tenute da Schenckendorff [generale di fanteria, comandante della zona delle retrovie del Gruppo di Armate Centro, e dunque responsabile della sicurezza nelle aree occupate e della lotta antipartigiana – n.d.r.]. Per di più, la lotta ai partigiani fu portata a pretesto sempre più spesso per l’esecuzione di altre misure, come lo sterminio di ebrei e zingari e la sistematica riduzione numerica dei popoli slavi di circa 30 milioni di unità (per garantire la supremazia del ceppo germanico), o le fucilazioni e i saccheggi per terrorizzare la popolazione civile.

I comandanti in capo con cui sono entrato in contatto e coi quali ho collaborato (per esempio i feldmarescialli Weichs, Küchler, Bock e Kluge, il colonnello generale Reinhardt e il generale Kitzinger) erano al corrente quanto me degli scopi e dei metodi della guerra contro i partigiani.

(M. Burleigh, Il Terzo Reich, Milano, Rizzoli, 2003, pp. 625-626. Traduzione di C. Capararo, S. Galli, M. Mendolicchio)

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