Fame, malattia e lavoro nel ghetto di Lodz

Il 28 luglio 1961, nei pressi del Crematorio III di Auschwitz-Birkenau venne ritrovata una gavetta militare contenente un rotolo anonimo di 348 fogli sciolti, contenenti un lungo testo in yiddish, scritto da un abitante del ghetto di Lodz. Le pagine erano state nascoste in quel luogo da un altro deportato, Zelman Lewental, che aveva scoperto il manoscritto nei vestiti dell’ignoto autore, dopo che questi era stato ucciso in una delle camere a gas Auschwitz. Poiché risulta ben informato su molte questioni, il soggetto che stese il diario – forse – era un impiegato dell’amministrazione ebraica di Lodz, guidata da Chaim Mordechai Rumkowski (qui chiamato l’Anziano). Per quattro anni, Rumkowski esercitò una sorta di dittatura all’interno del ghetto, si illuse di poter salvare gli ebrei di Lodz per mezzo del lavoro al servizio dei tedeschi e quindi rifiutò a priori l’idea di una insurrezione armata. La situazione descritta nel passo seguente si riferisce al 1942.

Di giorno in giorno aumenta il numero di coloro che s’ammalano delle più diverse e sconosciute malattie epidemiche. Non c’è famiglia ora senza almeno un paio di malati di cuore, tubercolosi e simili. E tutto ciò è la conseguenza della fame e del freddo. […] Nei prossimi giorni si dice che arrivino due vagoni di patate, alcuni milioni di chili quindi. Questa notizia di fonte attendibile si è diffusa in un lampo nel ghetto, e di colpo abbiamo dimenticato tutte le nostre pene; perché non c’è niente in questo momento nel ghetto che sia importante quanto le patate.

Tutti si sono ben guardati dal lasciare che le patate andassero a male. Le hanno mangiate. […] L’Anziano aveva ammonito che chi avesse mangiato subito le patate si sarebbe poi gonfiato per la fame. Ma loro possono ben dire: si doveva forse lasciare le patate marcire, in modo che la gente soffrisse la fame? A chi avrebbe giovato? Una parte della popolazione le patate se le è mangiate sino all’ultima, ed è stata meglio. L’amministrazione ha avuto così dozzine di lavoratori da impiegare in tutte le aziende del ghetto. Questa notizia ha un poco sollevato il morale della gente, ma poco dopo ne è arrivata un’altra che ha sconvolto gli spiriti già prostrati. Si era creduto che il ghetto fosse sulla via della guarigione, che le patate ingerite avrebbero risollevato gli indeboliti organismi. I volti si erano fatti più sereni, e poiché i cervelli che ci dirigono avevano di nuovo manifestato la loro qualità, si era supposto che avremmo avuto un ghetto pieno di gente sana e in grado di lavorare. Invece, a causa delle scarse razioni di grassi e di zucchero, si è manifestata nella maggior parte delle persone una malattia ossea che colpisce specialmente i piedi; durante il lavoro non si riesce a stare dritti che con grandissima pena. […]

Un uomo serio, che conosco da tempo, mi viene incontro, scuotendo la testa con nervosismo. <<Che ha?>>, gli domando. <<Come mai così agitato? Si dà ancora pena per le sofferenze, le malattie, i dolori, tutte queste morti? Eppure neanche lei è più una matricola qua dentro>>.

<<Ha ragione>>, risponde. <<ma non sopporto queste cose, non ce la faccio. Proprio perché di sofferenze e torture ne ho già viste abbastanza, so che questo genere di sofferenze non è tollerabile. E’ un sentimento che si rafforza ogni volta che ci si trova di fronte a una malattia inguaribile. Mi accompagni un pezzo, voglio raccontarle. Sto andando da una malata, madre di due figli adulti. Ella grida… Se a questa donna si desse un po’ da mangiare: questa sarebbe l’unica medicina adatta! Io so, caro signore>>, conclude confidenzialmente. <<lei sta tra quelli che impartiscono le disposizioni: quei signori ben conoscono la situazione dei lavoratori che cadono in deliquio per la fame dopo aver sino in fondo il loro lavoro. Non potrebbe implorare l’Anziano di cambiare atteggiamento verso i lavoratori, che lavorano al di là delle loro forze e che non chiedono altro che questo, che si permetta loro di vivere?>>.

Queste parole sincere e umane sono di un chirurgo che non chiude gli occhi di fronte a quello che vede, ed esigono da un uomo influente quale sei tu di fare qualcosa.

<<Ma non è solo questo a farmi indignare. L’ingiustizia suprema è nel problema dei lavoratori. Come lei sa, io lavoro anche nel ressort [= il complesso delle aziende e dei laboratori di Lodz – n.d.r.]. Sono di servizio come chirurgo per cinque ore al giorno. Un lavoro opprimente. E devo vedere così ridotto dei lavoratori che producono tante cose magnifiche nelle aziende dell’amministrazione del ghetto. Le osservi, la prego: sono cose che si guardano con vera gioia>>.

Come quel chirurgo, vedo anch’io i corpi e i volti emaciati di chi prima della guerra era padrone e adesso è operaio nei ressorts; vedo le loro rughe profondamente segnate. Non c’è da stupirsi se cadono in deliquio. Ogni giorno ci sono almeno quindici casi di svenimento durante il lavoro. Come salvare questa gente? Con medicamenti? Ma a che servono? […] Quale sarà in seguito il destino di questa gente gonfiata dalla fame?

(J. Gumkowski - A. Rutkowski - A. Astel (a cura di), Diario del ghetto di Lodz, Roma-Napoli, Theoria, 1989, pp. 33-35 e 41-43. Traduzione di C. Mainoldi)

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