Ponary: testimonianza di una superstite

Sopravvissuti per caso alla fucilazione, alcuni ebrei riuscirono a tornare vivi da Ponary/Paineriai. E’ il caso di Henna Katz, arrestata durante l’azione dei biglietti gialli del 23-24 ottobre 1941: in quella occasione, vennero catturati e condotti nella foresta tutti coloro che non possedevano il nuovo permesso di lavoro (di colore giallo) rilasciato il 15 ottobre.


Giunte a Ponary fummo cacciate nel fossato a suon di frusta. <<È  qui che lavorerete!>> disse Weiss, e scoppiò a ridere. Ci ordinò di toglierci anche la camicia e di aspettare il nostro turno. [...] Nel fossato c’erano circa duecento donne e solo qualche bambino. Già in prigione [la prigione di Lukiskis, a Vilnius, che a volte era usata come luogo di transito, prima di portare gli ebrei arrestati a Ponary/Paineriai – n.d.r.] i bambini erano stati separati da noi, ma qualche donna aveva trovato il modo di nascondere i propri figli e ora questi si stringevano alle loro madri.

All’inizio tutti gemevano e piangevano, ma a poco a poco calò il silenzio. A circa duecento metri di distanza da noi si stava svolgendo un’esecuzione. Vidi mio padre morire. Prima lo tramortirono con un piede di porco, poi gli spararono. Traboccante di sangue, cadde su una montagna di cadaveri. [...] Verso sera arrivò il nostro turno. Ci condussero a gruppi di dieci attraverso il fossato, verso un’enorme buca, lunga dai trenta ai quaranta metri. Quanto più ci avvicinavamo alla buca, tanto più il fossato si faceva profondo: nel punto in cui sfociava nella buca raggiungeva una profondità di sette metri.

Noi passammo per ultime. Arrivò Weiss e ci ordinò di metterci in fila. Aveva con sé un fazzoletto; lo strappò e ne ricavò dieci pezzi, che ci diede per bendarci gli occhi. Io ero la prima della fila, dietro di me c’erano mia madre e mia sorella.

<<Mani sul didietro!>> comandò Weiss, e ci condusse avanti. Camminai su dei corpi non ancora freddi. Improvvisamente si levò l’ordine: <<Fuoco!>>. Mia sorella, dietro di me, gridò: <<Oh Dio!>>. Mi sentii mancare; e caddi accanto a mia sorella. Poi persi i sensi.

All’alba ripresi conoscenza. Su di me giacevano cadaveri cosparsi di calce viva. Riconobbi mia sorella. Moishele [il figlioletto della sorella – n.d.r.] le stava sul petto, sembrava che dormisse. Riuscii a trascinarmi fuori da quell’ammasso di corpi che mi schiacciavano e mi misi a cercare per la fossa qualcosa da indossare. Trovai una camicia, me la infilai; mi gettai sulle spalle un vecchio mantello e non avendo altro posto in cui riparare, me ne tornai al ghetto.

(V. Grossman – I. Erenburg, Il libro nero. Il genocidio nazista nei territori sovietici 1941-1945, Milano, Mondadori, 1999, pp. 363-364. Traduzione di L. Vanni)

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