I permessi di lavoro

Grigorij Shur, nei suoi appunti clandestini, ha descritto ampiamente sia la vita del ghetto di Vilnius, sia le epurazioni, compiute nei confronti degli inabili al lavoro, che non erano in possesso dei permessi rilasciati dalle autorità tedesche. Shur morì nel 1944, dopo la liquidazione del ghetto.

All’inizio di ottobre del 1941 la popolazione del ghetto 1 era all’incirca di ventinovemila persone, quella del ghetto 2 di novemila (all’inizio della guerra a Vilna vivevano più di settantamila ebrei).

Ambedue i ghetti erano stracolmi, un vero formicaio. Ogni giorno, all’alba, la maggior parte degli abitanti si recava al lavoro, in fabbrica, nei cantieri, nelle unità tedesche. Molto difficile era la condizione di chi lavorava nelle torbiere, alla costruzione di ferrovie o strade o come scaricatori nei magazzini. Andavano al lavoro incolonnati come soldati, sul lato destro della strada. Tutti i lavoratori avevano una tessera bianca, su cui le prime parole erano: <<Der Jude>> o <<Die Juedin>> (ebreo – ebrea) e di seguito: <<Il tale, o la tale, lavora... in qualità di... (si indicava la specialità) e non può venir utilizzato per altri lavori senza il consenso del comando campale, militare o locale. Il documento va presentato assieme a un documento di identità ed è valido fino a... All’atto della scadenza va restituito all’autorità che lo ha rilasciato>>.

Coloro che possedevano questa tessera si sentivano più al sicuro da razzie degli attivisti [= i nazionalisti lituani – n.d.r.]; però accadeva che qualche attivista, che per strada controllava i documenti, strappasse tranquillamente  la tessera e portasse in carcere il malcapitato, per qualche ragione a lui non gradito. […]

In prossimità di una nuova liquidazione di un folto gruppo di ebrei, a molti vennero tolti i permessi di lavoro di colore bianco, i cosiddetti Scheine, col pretesto che al lavoro potevano rimanere solo determinate persone, che esercitavano mestieri particolarmente necessari. A chi era stato tolto il permesso si vietò di uscire dal ghetto e, poiché a partire dal 10 ottobre con un’apposita disposizione si era proibito di introdurre nella zona del ghetto qualsiasi tipo di prodotti, la situazione di queste persone e delle loro famiglie si fece disperata.

Solo la metà del precedente numero di lavoratori ricevette i nuovi Scheine, ugualmente bianchi, ma con un timbro rosso lavoratore specializzato (Facharbeiter); c’era anche il timbro dell’Ufficio del Lavoro (Arbeitsamt-Vilna). Si venne a sapere che tutti quelli che avevano ricevuto il nuovo permesso sarebbero stati sistemati nel ghetto 1 e gli altri nel ghetto 2, dal che si poteva dedurre che il secondo ghetto sarebbe stato liquidato.

Il 15 settembre, dal ghetto 1 furono condotte via 1200 persone e l’1 ottobre, nella sera di Yom Kippur, oltre 2300. Nella notte tra il 3 e il 4 ottobre portarono via dal ghetto 2 2000 persone, il 16 altre 3000 e cinque giorni dopo 1300 (fra cui 60 paralizzati e malati di mente). Così il ghetto 2 cessò di esistere, e a Vilna rimase un solo ghetto.

Di solito le epurazioni avvenivano così: improvvisamente, nel cuore della notte, gli ebrei venivano svegliati dalle forze di polizia ebraica. Seguiva l’ordine di recarsi immediatamente alla sede del Consiglio Ebraico (Judenrat), creato nei primi giorni dell’esistenza del ghetto, per far registrare i propri Scheine, cioè i permessi di lavoro. Ufficiali della Gestapo controllavano i permessi e lasciavano andare, assieme ai famigliari, i possessori di tali permessi, che quindi si recavano al posto di lavoro. Dopo che questi fortunati si erano allontanati, nel ghetto entravano i soldati e poliziotti lituani e gli agenti segreti, che eseguivano il loro terribile compito. Tutto rimaneva a loro discrezione, la vita e gli averi di quegli infelici. Dopo la loro irruzione nel ghetto, i lituani si precipitavano come animali rapaci sulle loro vittime, depredandole, percuotendole, portandole via con sé.

I soldati lituani accerchiavano in strada gli infelici portati via dagli appartamenti o anche scoperti in nascondigli (maline) e tra urla e percosse con il calcio dei fucili li portavano talvolta in carcere, talvolta direttamente a Ponary, alla fucilazione. Dal carcere qualcuno riusciva a salvarsi grazie a qualche relazione, cioè al denaro che andava a qualche abile maneggione o a qualche membro dell’esercito ai cui ordini lavorava l’arrestato; però la maggior parte di coloro che erano stati portati in carcere durante l’epurazione passarono di là a Ponary.

Davvero terribile era il quadro di devastazione, saccheggio e pogrom dopo l’ingresso degli esecutori e l’uscita delle vittime: mobili spezzati, cuscini e imbottiture sventrati, pareti fracassate, stufe demolite, pavimenti e soffitti smontati, bauli sfondati con le serrature forzate; tutti gli oggetti frugati, sparpagliati sul pavimento, le provviste alimentari sparse e versate per le abitazioni e i cortili. Non di rado i poliziotti ebrei si impossessavano degli oggetti e delle provviste di chi era stato portato alla fucilazione, poiché essi rimanevano padroni assoluti del ghetto. […]

Abbiamo già detto che di tutti quelli che in un primo tempo possedevano gli Scheine bianchi solo pochi ottennero quelli, ugualmente bianchi, detti Facharbeiterausweise, destinati cioè agli specializzati. Ma, evidentemente, anche il numero di questi lavoratori con il timbro specializzato era troppo alto, quindi i tedeschi introdussero ddei nuovi permessi chiamati Scheine gialli, distribuiti il 15 ottobre nel numero estremamente limitato di 3000.

(G. Shur, Gli ebrei di Vilna. Una cronaca dal ghetto 1941-1944, Firenze, Giuntina, 2002, pp. 47-52)

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