L'inizio della guerra nelle memorie di Hitler

Quando iniziò la prima guerra mondiale (il 28 luglio 1914, l’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia; il 2 agosto, la Germania scese in campo al suo fianco, contro Russia, Francia e Belgio) il giovane Adolf Hitler si trovava a Monaco di Baviera. Pur essendo cittadino austriaco, ottenne di essere arruolato nell’esercito tedesco, in un reggimento bavarese.

La guerra del 1914 non fu imposta alle masse, anzi, fu profondamente desiderata da tutto il popolo. Si voleva finalmente uscire da uno stato di generale incertezza. Solo così si può capire come mai più di due milioni di uomini e di giovani tedeschi accorressero volontariamente alle armi, decisi a difendersi fino all’ultima goccia di sangue.

Anche a me, le ore di allora appaiono come una liberazione dalle fastidiose impressioni della mia giovinezza. Né mi vergogno di dire ancora oggi, che, soverchiato da quel tempestoso entusiasmo, io son caduto in ginocchio e ho ringraziato il cielo di avermi concesso la gioia di vivere in una simile epoca.

Una guerra per la libertà era scoppiata, quale il mondo non ne aveva ancora viste di più immani; giacché quanto più il fato procedeva nel suo corso, tanto più albeggiava nelle masse la convinzione che non si trattava stavolta della Serbia o del destino dell’Austria, ma dell’essere o del non essere della Nazione tedesca.

Per l’ultima volta nel corso di molti anni il popolo si era fatto profetico nei riguardi del suo stesso avvenire. E così, già all’inizio della lotta gigantesca, si poté sentire nell’ebbrezza della formidabile esaltazione il necessario e severo accordo di basso continuo: giacché quel riconoscimento faceva apparire il sollevamento nazionale come qualcosa di più serio di un semplice fuoco di paglia. E la serietà era quanto mai necessaria; nessuno difatti sospettava allora, minimamente, la durata della lotta che iniziava. Si era convinti di essere di nuovo a casa per l’inverno, a riprendervi la propria pacifica attività. [...]

Avevo cantato così spesso: <<Germania sopra tutto>>, che mi sembrava finalmente una vera grazia di potermi presentare come testimonio davanti al giudizio di Dio, a dimostrargli l’autenticità del mio sentimento patrio. Giacché una cosa era certa, in quell’ora; che in caso di una guerra – che mi pareva inevitabile – io avrei piantato i libri immediatamente. E allo stesso modo io sentivo che il mio posto doveva essere là dove la mia voce interiore mi aveva chiamato.

Io avevo lasciato l’Austria per motivi politici, essenzialmente; che cosa dunque di più ovvio che io serbassi fede a simile designazione, ora che la guerra cominciava? Io non volevo combattere per lo Stato asburgico, mentre ero pronto a morire per il mio popolo e per il Reich che lo impersonava.

Il 3 Agosto introdussi un’istanza urgente a S.M. il Re Luigi III [sovrano di Baviera, Stato federato nel Reich tedesco, ma formalmente guidato, ancora, da una propria monarchia – n.d.r.], con la preghiera di permettermi di arruolarmi in un reggimento bavarese. Certo, la Cancelleria Reale aveva molto da fare in quei giorni; tanto più grande la mia gioia quando il giorno dopo ottenni la risposta alla mia istanza. Quando ebbi aperto con mani tremanti la lettera e vi ebbi letto l’accettazione della mia domanda, e l’ordine di presentarmi a un reggimento bavarese, il mio giubilo e la mia riconoscenza non conobbero limiti. Pochi giorni dopo portavo già l’uniforme, che non dovevo svestire che quasi sei anni dopo.

A questo modo, come per quasi tutti i tedeschi, cominciò anche per me la più grande e indimenticabile ora della mia carriera umana. Di fronte agli avvenimenti della lotta gigantesca, tutto il passato sembrò svanire in nulla. Con orgogliosa nostalgia io ripenso in questi giorni, in cui cade per la decima volta l’anniversario di quel fatale avvenimento [Hitler scriveva nel 1924 – n.d.r.], alle settimane in cui ebbe inizio la eroica guerra del nostro popolo, a partecipare alla quale il destino generosamente mi chiamò.

(A. Hitler, La mia vita, Milano, Bompiani, 1939, pp. 175-178. Traduzione di B. Revel)

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