La repressione della guerriglia in Cirenaica

Nelle sue memorie dal titolo Cirenaica pacificata (pubblicate nel 1932), il generale Rodolfo Graziani ricorda e difende il proprio operato in Libia, sostenendo che l’internamento di gran parte della popolazione civile era l’unico sistema efficace per riportare l’ordine e la sovranità italiana nella regione.

Chi, ignaro del fenomeno della ribellione nella sua essenza e nella sua estrinsecazione, si fosse fermato ad un esame superficiale della situazione cirenaica, prendendo in considerazione le sole forze dei ribelli, riducendo quindi i termini del problema cirenaico ad una semplice questione militare, avrebbe trovato strano che un contingente di truppe apparentemente di gran lunga superiore ai bisogni  non potesse riuscire ad aver ragione della ribellione: e ciò anche dopo aver tenuto conto della vastità del territorio spesso impervio ed inaccessibile, della mancanza di strade adatte allo spostamento celere delle truppe e del particolare carattere di brigantaggio che assumeva la lotta. Ma figgendo gli occhi bene addentro all’inestricabile matassa della ribellione, ci si accorgeva subito che essa non era rappresentata solo da un numero determinato di individui postisi fuori della legge, sibbene da un fenomeno molto complesso e profondo: il quale, se fosse rimasto ancora occultato e abilmente mascherato, ci avrebbe costretti ad altri sacrifici di sangue e di denaro, e forse anche a dolorose rinunce della nostra sovranità... Gli è che avevamo contro di noi tutte le popolazioni della Cirenaica che partecipavano alla ribellione – da una parte, allo stato potenziale, i cosiddetti sottomessi; dall’altra, apertamente in campo, gli armati. Tutta la Cirenaica, in una parola, era ribelle. [...]

In data 25 giugno veniva perciò deciso il totale sgombero del Gebel [...]. Tutti i campi furono circondati da doppio reticolato; i viveri razionati; i pascoli contratti e controllati; la circolazione esterna resa soggetta a permessi speciali. Furono concentrati nel campo di el Agheila tutti i parenti dei ribelli, perché più facilmente portati alla connivenza. Completata fu l’epurazione con l’allontanamento dei notabili mediante il confino a Ustica dello stesso Omar Mansur Chechia Pascià ad accoliti, che a Bengasi continuavano a intrigare l’opera del Governo. I capi e le popolazioni, refrattarie e sorde ad ogni voce di persuasione e di richiamo, ricevevano così il trattamento che si erano meritato. La misura di rigore, senza remora né tregua, cadeva inesorabile su di esse.

(G. Rochat, Il colonialismo italiano, Torino, Loescher, 1974, pp. 122-123 e 127)

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