Le leggi razziali

Espulsioni e divieti relativi ai matrimoni
Italia, 1938. La Gazzetta Ufficiale pubblica le leggi razziali.Il 6 ottobre 1938, il Gran Consiglio del Fascismo emanò una solenne dichiarazione programmatica, in cui vennero enunciati per sommi capi i principali provvedimenti razzisti che il regime, di lì a poco, avrebbe assunto.

Innanzi tutto, si decise che sarebbero stati vietati i matrimoni misti, tra soggetti appartenenti a razze diverse. Inoltre, agli ebrei fu drasticamente limitato l’accesso a numerosi ambiti della società civile e delle istituzioni pubbliche: anzi, se presenti, da tutti quei settori gli ebrei sarebbero stati espulsi. A titolo d’esempio, ricordiamo il Partito Nazionale Fascista, l’esercito (agli ebrei sarebbe stato vietato il servizio militare, mentre gli ufficiali ebrei furono congedati), gli impieghi pubblici. In campo economico, agli ebrei veniva vietato di essere <<possessori o dirigenti di aziende di qualsiasi natura che impieghino cento o più persone>>, nonché di possedere terreni di superficie superiore ai 50 ettari.

La delusione più grave, per gli ebrei italiani, riguardò la monarchia sabauda. Vittorio Emanuele III, infatti, firmò senza proteste tutti i decreti che, di lì a poco, avrebbero dato valore giuridico alle indicazioni programmatiche della Dichiarazione sulla razza del Gran Consiglio. Agli occhi degli ebrei italiani, Vittorio Emanuele III tradiva clamorosamente il gesto liberale di Carlo Alberto, che il 29 marzo 1848 aveva concesso la pienezza dei diritti civili agli ebrei piemontesi e liguri.

La posizione della Chiesa cattolica

A distanza di quarant'anni dagli articoli della Civiltà cattolica, la posizione cattolica sulla questione ebraica era rimasta fedele alla linea secondo cui andavano rifiutati tutti gli eccessi e le violenze, ma non il principio in sé di una discriminazione degli ebrei nella società.

La Chiesa non approvò le leggi razziali del 1938, ma la protesta del pontefice nasceva solo dal fatto che l'antisemitismo fascista (come quello nazista) non muoveva da motivazioni di tipo religioso, bensì da presupposti di tipo razzista.  La critica del papato non ebbe come oggetto la difesa della dignità umana e civile degli israeliti; inoltre, si concentrò prevalentemente sulla questione dei diritti degli ebrei convertiti al cattolicesimo.

In particolare, la Chiesa attaccò il fatto che, sulla base del concetto di razza, ad un ebreo battezzato fosse vietato il matrimonio con un ariana cattolica (e viceversa). Per la Chiesa, un simile atteggiamento del regime era del tutto inaccettabile, era contrario a tutta la dottrina cattolica sul matrimonio e, cosa ancora più importante sotto il profilo giuridico, era in palese contrasto con l'articolo del Concordato (stipulato nel 1929) secondo il quale il matrimonio contratto secondo le regole del diritto ecclesiastico era valido a tutti gli effetti anche sotto il profilo civile.

Malgrado le proteste del papa contro la ferita (vulnus) inferta al Concordato, Mussolini non indietreggiò di un passo. Questa determinazione a proseguire nel cammino intrapreso, persino a costo di rischiare un grave scontro con l’istituzione ecclesiastica, è segno del nuovo e sempre più aggressivo disegno totalitario del Duce, deciso a costruire il suo impero e l’uomo nuovo fascista destinato a conservarlo ed ampliarlo.

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