La questione ebraica, in un'ottica fascista

Nell’ottobre del 1939, l’Istituto Nazionale di Cultura Fascista di Roma pubblicò un opuscolo di Carlo Cecchelli intitolato La questione ebraica e il sionismo. Il testo cercava di mantenersi su un terreno accademico e di evitare l’antisemitismo più rozzo e volgare. Malgrado questa patina rispettabile, Cecchelli comunque ripeteva i temi più classici dell’antisemitismo.

La parola antisemitismo con la quale si suol designare la reazione antiebraica dall’antichità ad oggi è vocabolo di data recente. Sembra che l’abbia usata per primo il Marr nelle sue Antisemitische Hefte, opera pubblicata a Chemnitz nel 1880. Ma si tratta di un’espressione imprecisa perché, in realtà, gli avversari cui si allude sono soltanto gli Ebrei, e non le altre stirpi semitiche. Preferiamo quindi il vocabolo: antigiudaismo.

Circa l’antigiudaismo non è compito nostro rifarne la storia dall’età romana ad oggi. D’altra parte chi potrebbe fare una buona sintesi in mancanza di un grosso studio analitico perfettamente imparziale? Colui che domani vi si accingerà, dovrà vagliare un’infinità di materiali e navigare tra Scilla e Cariddi.

Ma, se vogliamo anticipare un giudizio che consideri l’insieme dei fatti oltre gli episodi, alla luce dell’unica causa determinante, noi diremo che tutti i ritorni dell’antigiudaismo sono dovuti all’eccessiva ingerenza giudaica nella vita e nello spirito delle nazioni. Se gl’Israeliti avessero continuato a vivere separatamente senza manifestazioni di provocante orgoglio, senza gettare il laccio delle grosse operazioni finanziarie iugulatrici, senza incunearsi nella politica, senza tendere insidie spirituali, diciamo la verità: nessuno li avrebbe disturbati.

Si badi che la storia dell’antigiudaismo non è un séguito di persecuzioni, perché la reazione antigiudaica si è manifestata soltanto in certi momenti in cui le popolazioni hanno avuto la sensazione d’essere afferrate alla gola. Anche in un paese così tollerante come la Francia ci fu, nel secolo XIX, un’ondata di antigiudaismo. Pur essendo ingiusto l’immediato movente, cioè il processo Dreyfus, rimane il fenomeno di un sentimento che cova da tempo e che esplode quando vi è un qualsiasi appiglio per manifestarsi. Lo scatenarsi dei Giudei a partire dalla Rivoluzione del 1789, l’Alliance Israélite Universelle di Adolfo Crémieux nel 1860 ed altri fattiinsinuarono nello spirito pubblico francese la netta idea dell’immanenza di un pericolo. [...]

Noi crediamo che l’Ebreo, sotto la crosta dell’uomo contemporaneo e magari con intendimenti avveniristi, sia rimasto sostanzialmente un primitivo asiatico. Come primitivo e come asiatico ebbe il gran bene d’intuire l’unicità divina e, d’altra parte, la divina Mens, per insondabile disegno, si pose a più diretto contatto con lui. Ma purtroppo residuarono vigorose le altre tendenze dell’anima primitiva. Esse finirono col perderlo.

Vediamone alcune: a) Nomadismo, e quindi insofferenza delle gerarchie, repulsione congenita all’idea statale (anche se gli ebrei abbiano avuto monarchi non ingloriosi) e poi scarso attaccamento alla terra e, per converso, maggiore attitudine agli scambi (bada però che il nomadismo ebraico ha poco simpatizzato col mare, che fu invece la passione di un altro popolo semitico: i Fenici); b) Spirito pratico che vuole ad ogni costo l’attuazione dei propri disegni e che precipita in un utilitarismo senza scrupoli e va fino alla pericolosa ingenuità di tramutare la rivelazione divina in un patto con l’Eterno escludente ogni altra razza. Donde un’insaziata avidità che fa escogitare le più ingegnose forme di commercio e che degenera nell’usura (qui gli ebrei toccano il vertice, giacché s’impongono agli altri Semiti); c) Superstiziosità raffinata, intellettualistica che determina lo snervante ritualismo (degenerazione cultuale) ed ispira combinazioni astruse; d) Potente facoltà assimilatrice che conduce ad imitazioni di varie forme di civiltà. Bisogna tuttavia distinguere questo processo dall’analogo della civiltà di Roma. In quest’ultima si ha un organico assorbimento amalgamato da un potentissimo reagente che ne trae nuovi valori. Nel giudaismo si forma invece una crosta più o meno greve attorno allo spirito, il quale spesso riesce ad orientarsi in un senso o nell’altro, ma non a disintegrare. Questi successivi mimetismi finiscono tuttavia con arricchire l’anima giudaica di multiple quanto dannose esperienze; e) Pratica endogamica rigorosa che cementa la Razza, la estrania e la rende intimamente ostile alle altre; f) Sensualismo che, sotto la ferrea costrizione religiosa, va a beneficio della più vasta famiglia di tipo patriarcale; ma che, perduto questo vincolo salutare, diventa corruzione ed accede all’immoralità dei principi comunisti ed alla follia della limitazione delle nascite; g) Concezione tragica della vita per il contrasto fra le dure necessità dell’oggi, ed una utopistica indefinita giustizia sociale del domani raggiunta senza imporsi una disciplina, senza piegarsi ad una qualsiasi autorità. E quindi aspirazioni rivoluzionarie, diffidenza, vittimismo, genio dell’imprecazione, spirito corrosivo e via dicendo.

Questi orientamenti psicologici hanno reso eterogenea la razza ebraica in seno agli altri popoli; specie a partire dalla Dispersione. L’Ebraismo post-biblico ha progredito nei difetti ed ha perduto molto delle antiche virtù; l’età moderna (dalla Rivoluzione francese in poi) ha dovuto assistere al suo crollo morale e religioso. Sono quindi logiche le misure difensive prese dalle nazioni conscie del pericolo che il Giudaismo rappresenta.

(C. Cecchelli, La questione ebraica e il sionismo, Roma, Istituto Nazionale di Cultura Fascista, 1939-XVII E. F., pp. 7-8. 51-52)

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