Lo spazio vitale a est

Nel suo Mein Kampf, iniziato nel 1924 e completato l’anno seguente, Hitler indicò il suo obiettivo finale: la costruzione di un gigantesco impero continentale capace di rendere il popolo tedesco autosufficiente quanto a materie prime e a derrate alimentari.

La  politica estera dello Stato nazionale deve assicurare l'esistenza su questo pianeta della razza raccolta nello Stato, creandole, col numero e lo sviluppo degli individui che la compongono e con la vastità e bontà del territorio, una situazione sana e vitale.

Per la situazione sana intendiamo quella che assicura il sostentamento d'un popolo sul proprio suolo. Ogni altra situazione, quand'anche duri secoli o millenni, non è sana, e presto o tardi conduce al deterioramento e alla distruzione d'un popolo.

Solo un sufficiente spazio su questa terra assicura ad un popolo una libera esistenza.  [...]

Se il movimento nazional-socialista vuol conservare davanti alla storia il sacro carattere di una missione per il nostro popolo, deve, dopo aver riconosciuta con dolore la reale situazione di questo popolo sulla Terra, intraprendere freddamente e con consapevolezza la  lotta contro l'incapacità e la mancanza di scopi con cui finora il popolo tedesco fu guidato nelle vie della sua politica estera. Deve, senza riguardo a tradizioni e pregiudizi, trovare il coraggio di adunare il nostro popolo e le sue forze per iniziare la marcia su quella via che dall'odierna  ristrettezza di spazio vitale condurrà all'acquisto di nuovo territorio. Così libererà per sempre la nazione tedesca dal pericolo di perire o di servire altrui quale popolo di schiavi. Il movimento nostro deve cercare di eliminare il funesto rapporto attuale fra la nostra popolazione e la superficie del nostro territorio, considerando il territorio sia come una fonte di sostentamento sia come punto d'appoggio della politica di potenza. [...]

Noi, nazional-socialisti, tiriamo una riga sulla politica estera tedesca dell'anteguerra, la cancelliamo. Noi cominciamo là, dove si terminò sei secoli fa. Mettiamo termine all'eterna marcia germanica verso il sud e l'ovest dell' Europa e volgiamo lo sguardo alla terra situata al'est.  Chiudiamo finalmente la politica coloniale e commerciale dell'anteguerra e trapassiamo alla politica territoriale dell'avvenire.

Ma quando, oggi, parliamo di nuovo territorio in Europa, dobbiamo pensare in prima linea alla Russia o agli stati marginali ad essa soggetti.

Sembra che il destino stesso ci voglia indicare queste regioni. Consegnando la Russia al bolscevismo, rapì al popolo russo quel ceto di intellettuali che finora ne addusse e garantì l'esistenza statale. Perché l'organizzazione di uno Stato russo non fu il risultato delle attitudini politiche d'un popolo schiavo, ma fu un meraviglioso esempio della capacità di foggiare uno Stato posseduta dall'elemento germanico in una razza di minor valore. Così furono creati numerosi possenti imperi della Terra. Più d'una volta, popoli inferiori aventi alla testa organizzatori e padroni germanici diventarono Stati formidabili e sussistettero fin quando durò il nucleo della razza che creò lo Stato. Da secoli la Russia si nutrì di questo nucleo germanico dei suoi ceti dirigenti: ma questo è, oggi, quasi del tutto estirpato e abolito. Al suo posto è subentrato l'ebreo. I Russi non possono da soli scuotere il giogo degli ebrei; ma gli ebrei non possono, a lungo andare, conservarsi quel formidabile Stato. Perché l'ebreo non è un elemento di organizzazione ma un fermento di disorganizzazione. Il colossale impero orientale è maturo per il crollo. E la fine del dominio ebraico in Russia sarà pure la fine della Russia come Stato. Noi siamo eletti dal destino ad essere testimoni di una catastrofe che sarà la più poderosa conferma della teoria nazionalista delle razze.

(A. Hitler, La mia battaglia, Milano, Bompiani, 1939, pp. 331. 334-335. 345-346. Traduzione di B. Revel)

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