I malavitosi

Varlam Salamov dedica molte pagine dei suoi Racconti di Kolyma alla descrizione del mondo dei malavitosi. Più volte ribadisce che essi non hanno nulla di romantico, di poetico, di cavalleresco. Nel lager, erano gli esseri più abietti di tutti, disposti ad ogni crimine e ad ogni violenza: "un mondo maligno e ripugnante, che non ha niente di umano".

Secondo la loro filosofia ci sono al mondo due tipi di uomini. Da una parte gli uomini veri, la delinquenza, il mondo criminale, gli urki, urkagany, zuki-kuki e simili. Dall’altra  - i fraera, vale a dire i liberi, per i malavitosi i fessi. [...] La doppiezza dei malavitosi non conosce limiti, poiché nei confronti dei fessi (e i fessi sono il mondo intero, con l’esclusione dei soli malavitosi) non c’è altra legge che quella dell’inganno – e con ogni mezzo: lusinghe, calunnie, promesse... Il fraer è stato creato proprio per essere turlupinato [...]. Qualsiasi sanguinosa infamia ai danni di unfesso è giustificata e consacrata dalle leggi della malavita. E si potrebbe pensare che nei confronti dei propri compagni il ladro sia tenuto a essere onesto. Le tavole della loro legge al riguardo parlano chiaro e una feroce punizione attende coloro che puniscono il cameratismo.
Ma anche questo, dalla prima all’ultima parola, non è che posa teatrale e bugiarda millanteria. [...] Quando sono in difficoltà, i ladri arrivano a denunciarsi reciprocamente alle autorità del lager. Quanto alle delazioni contro i fessi, gli "Ivan Ivanovic" [= espressione che designa il russo qualunque, un po’ come in italiano Signor Rossi – n.d.r.], i politici, non vale neanche la pena di parlarne. É un sistema per facilitarsi la vita e i malavitosi non possono che andarne particolarmente fieri.

I mantelli cavallereschi volano via e non resta altro che l’abiezione di cui è permeata la filosofia dei malavitosi. É un’abiezione che in circostanze critiche si volge logicamente contro i compagni stessi dell’ordine. Non c’è niente di cui stupirsi. Il sotterraneo regno del crimine è un mondo che ha eletto a scopo della vita lo sfrenato soddisfacimento dei più bassi istinti, che vive di interessi esclusivamente bestiali, peggio che bestiali, poiché qualsiasi animale si spaventerebbe davanti a certe azioni che i malavitosi commettono senza pensarci un momento. [...] C’era una miniera dove lavoravano solo donne, molto popolosa, lavoro duro di scavo, fame. Il malavitoso Ljubov’ era riuscito a capitarci. "Ah, che bell’inverno ci ho passato, - rievocava -. Laggiù, neanche a dirlo, con il pane, con la razioncina potevi avere tutto quanto. E c’era anche un’usanza, un accordo di questo genere: le metti in mano la razione – mangia! Nel tempo che ci sto assieme, lei deve mangiarsi la razioncina, e quello che non fa in tempo a mangiare me lo riprendo. Allora io alla mattina ricevevo la razione e – sotto la neve! Hai capito, congelavo – quanto vuoi che ne potesse rosicchiare, di pane congelato, quella..."

Certo è difficile immaginare che a un essere umano possa venire in mente una cosa del genere. Ma nel malavitoso non c’è niente di umano. [...]

Alla Kolyma lo spirito corruttore della malavita impregnava l’intera esistenza. Senza una chiara comprensione della vera natura del mondo criminale è impossibile capire i lager. Sono i malavitosi a dare quel determinato volto ai luoghi di detenzione, a dare il tono della vita di tutti – dalle autorità di più alto grado ai rabotjagi affamati dei giacimenti d’oro. [...] Nel lager i ladri e gli assassini vivono meglio di tutti, godono di un relativo benessere materiale e si distinguono per la fermezza delle loro convinzioni e la condotta, sempre invidiabilmente spavalda e intrepida. Anche le autorità devono vedersela coi malavitosi. Nei lager essi sono i padroni della vita e della morte. Sono sempre sazi, riescono a far saltar fuori qualcosa quando tutti gli altri sono affamati. Il ladro non lavora, riesce a ubriacarsi perfino in lager mentre al giovane contadino tocca sgobbare anche lì. E a costringerlo a sgobbare non sono altro che i ladri – tanto sono abili a sistemarsi. Hanno sempre del tabacco, il parrucchiere del lager va a tagliare loro i capelli, taglio alla boxea domicilio, nella baracca, munito dei suoi migliori strumenti. Ogni giorno il cuciniere porta loro conserve e dolciumi rubati in cucina. Anche i ladri meno importanti possono contare su porzioni migliori e dieci volte più consistenti. L’addetto al taglio del pane non negherà mai loro un pezzo di pagnotta. Tutti gli indumenti da liberi li indossano loro. I posti migliori sui tavolacci sono i loro – vicino alla luce, accanto alla stufa. [...]

Ci sono degli studiosi di medicina i quali ritengono che ogni assassinio sia frutto di una psicosi. Se i malavitosi sono dei malati mentali vanno rinchiusi per sempre in manicomio.

Noi riteniamo invece che quello dei criminali sia un particolare mondo di uomini che hanno smesso di essere uomini.

Questo mondo è sempre esistito e continua a esistere anche ai nostri giorni, corrompendo la nostra gioventù e contaminandola con il suo respiro.

L’intera psicologia della malavita si fonda sull’antica certezza, verificata nei secoli dai malavitosi, che la loro vittima non potrà mai fare – e neppure sognarsi di fare – niente di tutto ciò che essi invece compiono con piacere, a cuor leggero e con l’animo tranquillo, ogni giorno e ogni ora. La loro forza consiste in questo – in una tracotanza senza limiti, nell’assenza di qualsiasi morale. Per il blatar’ niente è mai troppo. Anche se in base alla sua stessa legge il ladro non può considerare glorioso e onorevole lo scrivere delazioni contro i fessi , la cosa non gli impedirà, se può ricavarne qualche vantaggio, di delineare il profilo politico di uno dei suoi vicini, non malavitosi e di consegnarlo alle autorità. É un fatto noto che, a cominciare dal 1938 e fino al 1953, le autorità concentrazionarie sono state letteralmente sommerse da migliaia di visite di malavitosi i quali si presentavano dichiarando che in quanto sinceri amici del popolo si sentivano in obbligo di denunciare i fascisticontrorivoluzionari. Queste denunce hanno avuto un carattere di massa poiché nei lager i detenuti provenienti dall’intelligencija, gli "Ivan Ivanovic", sono sempre stati oggetti di uno speciale, persistente odio da parte dei ladri.

[1959]

(V. Salamov, I racconti di Kolyma , Torino, Einaudi, 1999, pp. 755-759. 763-766. 777-778. Traduzione di S. Rapetti)

 

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